Sciopero 8 Marzo: il lavoro di cura e la falsa retorica della conciliazione nell'Agenzia delle Entrate

Roma -

Grazie agli scioperi generali proclamati da USB in piena sinergia col movimento femminista internazionale “Non una di meno” dal 2017 in poi, l’8 marzo ha smesso di essere una giornata rituale e lavacoscienza per festeggiare la donna una volta l’anno e ha ripreso la sua natura originaria di protesta, facendo focus su tutti i nessi che impattano sul lavoro, sul tempo di vita, sui ritmi produttivi delle donne.

Uno di questi focus è la c.d. riproduzione sociale, ovvero il tempo di vita impiegato per produrre lavoro non salariato. Questa ha sia una connotazione biologica (gravidanza, parto, allattamento) che una lavorativa, comprendendo lavoro domestico, di cura, di formazione, di educazione, di appoggio psichico e fisico, affettivo, relazionale. Una condizione connaturata e data per scontata, caratterizzata dalla messa a disposizione inesauribile di tempo di vita da cui estrarre gratuitamente valore economico.

Se è vero che la giungla dello sfruttamento sulle donne a livello sistemico appartiene certamente ad altri settori è pur vero che le premesse su cui si fonda il disconoscimento strutturale del lavoro di cura ha radici comuni non solo negli ambiti lavorativi ma anche nella stessa opinione pubblica.

Il sistema familistico italiano ha storicamente scaricato sulle donne l’assistenza e la cura degli anziani e dei bambini, aumentando ancora di più il peso del lavoro domestico, invisibile, connaturato e non riconosciuto: l’OCSE certifica che il 75% del lavoro di cura delle famiglie pesa sulle donne.

Come Organizzazione Sindacale riteniamo che la lotta per i diritti non possa essere separata da una lente di ingrandimento di genere per combattere le distorsioni strutturali di un Paese come l’Italia, che trasforma le donne in ammortizzatore sociale a costo zero in sostituzione del welfare universale in via di smantellamento.

Tutto questo può sembrare che non riguardi il nostro settore ma basta utilizzare la lente di ingrandimento sulla c.d. riproduzione sociale per scoprire che non è così.

Ecco solo alcuni dei temi sui quali, come USB, negli ultimi anni siamo intervenuti per fare emergere il lavoro di cura, chiedere correttivi e dare sostegno alle lavoratrici e ai lavoratori, uomini che, per fortuna, sempre più stanno entrando nella logica della genitorialità come responsabilità condivisa.

Partiamo dall’orario di lavoro: per tantissimi anni i bandi sulle progressioni economiche nell’Agenzia delle Entrate hanno previsto un metodo di calcolo che portava a una concreta disparità di trattamento tra chi era in part – time, per lo più lavoratrici donne che si vedevano decurtato il punteggio sulla base della percentuale di lavoro prestato, e chi era a tempo pieno che non subiva tale decurtazione.

Sin dal 2019 infatti USB, con un quesito specifico al CUG, evidenziò tale disparità di trattamento, attivandosi prontamente con la DC.

Ed è anche grazie a tale intervento di USB che, dal 2022, nell’ambito delle ultime procedure di progressione economica è stata finalmente sanata la disparità di trattamento tra dipendenti part-time e full-time, che si traduceva di fatto in una discriminazione di genere: nel caso di personale in part-time (orizzontale, verticale o misto), il punteggio da attribuire non viene più calcolato in proporzione alla percentuale di tempo parziale lavorato ogni anno e l’attività lavorativa è assimilata al tempo pieno.

Passiamo poi al grande CAPITOLO: permessi, congedi e smart, la cui disciplina in Agenzia era nata già recessiva rispetto alla legge 81/ 2017, vista la palese disparità normativa (divieto utilizzo dei permessi) rispetto a chi svolgeva attività esclusivamente in presenza.

Ci riferiamo al dimezzamento dei permessi per allattamento previsti dall’art. 39 decreto legislativo 151 /2001, in caso di smart working.

Ci riferiamo al disconoscimento unilaterale e retroattivo dei congedi COVID, precedentemente autorizzati dalla stessa Agenzia ai genitori in relazione al periodo maggio, giugno e luglio del 2020.

Ci riferiamo alla mancata apertura alla ricerca di soluzioni per alleggerire la situazione di chi ha dovuto vivere il binomio smart- dad dei figli (magari non avendo neanche un pc di servizio), subendo in modo combinato fattori tecnologici e fattori psicologici, creando un cocktail micidiale di rischio tecno-stress.

Per non parlare della mancata concessione di congedi nei casi di quarantena scolastica da parte di alcune DP, superata solo grazie a una nota della DC a seguito di un’esplicita richiesta di USB.

Per quanto riguarda tutto il settore del PI, e non solo l’Agenzia, vi è stato poi l’incredibile vuoto normativo sui congedi per i genitori nel caso di sospensione delle attività scolastiche in presenza previste dalle ordinanze regionali.

Dopo essere stato vissuto dalla stragrande maggioranza dei vertici come un fardello imposto dalla legislazione di emergenza (qualcuno ha persino coniato la definizione di fannullonworking), vi è poi la gestione dello smart dei freddi algoritmi numerici: la disciplina transitoria (si fa per dire visto che da allora l’Amministrazione continua a non convocare le OO.SS)  emanata con nota unilaterale lo scorso 4 aprile.

Il tutto con buona pace del CCNL Funzioni Centrali dove sono contenuti ben 4 articoli solo sul lavoro agile.

Il tutto seguito dalla chiusura totale sul riconoscimento della prestazione mista nella medesima giornata (chiesta a gran voce dalle mamme per la gestione scolastica) e dalla mancata attuazione della direttiva UE 2019/1158 "relativa all'equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza”, riguardante genitori di figli fino a 12 anni o senza  alcun limite di età nel caso di figli con disabilità e caregiver.

Se tutto ciò non bastasse, si aggiunga, in alcuni territori, l’imposizione e non la condivisione sulle fasce di contattabilità (!), la dilatazione del tempo di lavoro in orari serali e nei fine settimana e la concezione arcaica di produttività connessa alla presenza e non alla qualità del lavoro.

Declinazioni dell’orario di lavoro imposte surrettiziamente e divenute leve per ottenere riconoscimento professionale e premessa per la progressione di carriera.

Vi è poi, dulcis in fundo, il triste primato della DP di Ragusa, che l’anno scorso ha ben pensato di convocare i colloqui di patto per la valutazione proprio il giorno dello sciopero generale contro la violenza maschile sulle donne e la violenza di genere.

Questi sono solo alcuni degli ambiti per i quali come USB abbiamo ritenuto di intervenire. Quasi sempre poi, i fatti ci hanno dato ragione. Quasi sempre sarebbe bastato utilizzare la lente di ingrandimento anche in chiave di genere prestando attenzione al lavoro di cura. É sui temi evidenziati e non ascoltati. che oggi chiamiamo allo sciopero generale dentro l’Agenzia delle Entrate, continuando a chiedere, in direzione ostinata e contraria, che questo Paese non solo investa in Stato Sociale ma anche che l’organizzazione del lavoro tenga sempre presente il riconoscimento del lavoro di cura e dei bisogni che si annidano tra le pareti domestiche ma che hanno portata collettiva.

Tantissime in Italia le piazze dello sciopero generale dell’8 marzo.

Ti invitiamo a contattare i delegat@ USB del tuo Ufficio per le info specifiche o ad andare sul sito www.nonunadimeno.wordpress.com in costante aggiornamento

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