Agenzie fiscali - Per un fisco più equo non bastano i patti sociali

La pressione fiscale sul lavoro dipendente non si riduce con l'elemosina di pochi euro

Roma -

Le entrate tributarie nel periodo gennaio-luglio 2010 sono calate sensibilmente. Il dato, fortemente negativo, non è imputabile agli effetti della crisi e non è nemmeno imputabile al funzionamento della macchina fiscale: ai lavoratori è stato pubblicamente riconosciuto, in più occasioni e dai massimi vertici delle Agenzie fiscali, un grande contributo di professionalità e produttività insieme.

 

Infatti, i risultati della lotta all'evasione dimostrano che gli obiettivi fissati dalle Convenzioni sono stati abbondantemente raggiunti. Eppure le entrate tributarie calano! Se le entrate calano, non per effetto della crisi né per responsabilità della macchina fiscale, che ha funzionato malgrado i tentativi di incepparla con riorganizzazioni e disincentivi, ciò significa che continua ad aumentare l'evasione fiscale, che sempre più assume i contorni di un incontrollabile e devastante fenomeno di massa.

 

Il nostro è un Paese in cui la leva fiscale agisce vigliaccamente sulle spalle di lavoratori dipendenti e pensionati, che sembra aver fatto del patteggiamento una regola che genera squilibri insanabili e incoraggia l'evasione.

 

Perfino le più recenti misure anti-evasione sembrano agire più sul piano della apparenza che della sostanza e ci riferiamo anche all'accertamento sintetico del reddito, splendido strumento teorico purtroppo assai debole sul piano concreto.

 

Oggi in questo stesso Paese, si invoca da più parti un nuovo patto sociale per un fisco più equo. La proposta di un patto per il Fisco RdB l'aveva lanciata già anni fa, alla luce dello strapotere negoziale di alcune categorie di contribuenti e della tendenza pattizia sottesa ad esempio agli studi di settore.

 

Ma se non si risolve la piaga dell'evasione fiscale, e se non si colpiscono alcune tipologie di reddito diverse da quelle da lavoro, non ci saranno risorse sufficienti a finanziare una seria riforma fiscale che dia fiato ai redditi già colpiti dai tagli alle risorse contrattuali e dal più generale blocco della contrattazione collettiva.

 

Il patto sociale invocato, non solo sulla materia fiscale, altro non è che una fregatura: un'elemosina chiesta per legittimare poi un pesante arretramento sul fronte del salario, dei diritti, dell'occupazione in un quadro di democrazia sindacale corrotto e alterato da interessi di bottega di Governo, Confindustria e sindacati complici. È successo a Pomigliano, succede con la riforma della Pubblica Amministrazione, accade anche con la demolizione dello Statuto dei lavoratori.

 

Chi oggi invoca un patto sociale sul fisco, dà una mano a Governo e Confindustria: da una parte chiede l'elemosina fiscale per lavoratori dipendenti e pensionati, dall'altra prepara la tomba dei diritti e delle relazioni sindacali, in nome di una nuova normalizzazione che guarda con strabismo ad altri modelli per importarne il peggio.

 

Un fisco più equo deve invece capovolgere il peso della pressione fiscale che opprime lavoratori dipendenti, pensionati, precari. E per fare questo non bastano pochi spiccioli, ma serve una inversione di tendenza. Si deve partire da un robusto rafforzamento della macchina fiscale, per arrivare a soluzioni che non siano poche briciole di pane in cambio della svendita di diritti e futuro.

 

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