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Agenzie Fiscali - Scende la pioggia, ma che fa?

Su una cosa ci siamo clamorosamente sbagliati: non c'è stato il tiepido sole autunnale a scaldare il corteo, ma una costante e insistente pioggia che ha accompagnato i manifestanti dalla partenza fino all'ingresso a piazza San Giovanni. Per il resto tutto ha superato le più ottimistiche aspettative. Abbiamo visto sfilare per le strade di Roma tutte le facce del mondo del lavoro rappresentate in un caleidoscopio di sentimenti e aspettative che finalmente hanno trovato un degno palcoscenico di rappresentazione.

 

Il mondo del lavoro non è quello che è stato descritto all'opinione pubblica in questi mesi. Lo sciopero di ieri intendeva affermarlo con nettezza e la partecipazione straordinaria di tutti i lavoratori lo ha ribadito senza incertezze. Difficile, se non impossibile, omologare con un'etichetta più o meno sbrigativa le donne, gli uomini e i ragazzi che hanno preso parte alla manifestazione. Non si trattava di professionisti del conflitto né di post-comunisti, non erano nostalgici né rivoluzionari. Erano persone, lo avevamo immaginato, desiderose di difendere con le unghie e con i denti quel sistema di convivenza sociale basato sull'idea di uno Stato che deve essere vicino ai suoi cittadini e non voltar loro le spalle in nome di una politica del lasciar fare (al libero mercato). Il Governo ha abiurato all'ideologia dell'ultraliberismo e ha dichiarato con il suo più "autorevole" esponente che gli aiuti di Stato non sono un male ma anzi una provvida necessità. Per chi? hanno domandato i 400mila manifestanti sotto la pioggia: per i banchieri e gli speculatori, per chi compra compagnie aeree, per chi vende prodotti finanziari taroccati o per i cittadini che non possono contare su una retribuzione stabile o adeguata ai bisogni primari o su uno Stato Sociale efficiente? Chi va messo alla gogna, il modello privatistico che ha fatto marcire l'economia mondiale o il modello pubblico che sta garantendo agli esperti del capitalismo un'uscita di emergenza dal fallimento globale?

 

La manifestazione di ieri è stata tutto quello che potevamo aspettarci e molto, molto di più. Nessun incidente, una prova di altissima responsabilità e di grande attaccamento agli strumenti del conflitto democratico, una sfida lanciata frontalmente alla politica di maggioranza e di opposizione, i cui signori si sfidano sul terreno di un riformismo sterile e senza prospettive; ma una sfida frontale lanciata anche ai professionisti della proclamazione di scioperi a futura memoria, a quelli che annunciano una, dieci, cento giornate di sciopero ma che non portano in piazza più nessuno perché la piazza è ormai lontana da loro e loro sono lontani da lei. Nel nostro comparto l'adesione allo sciopero è stata elevatissima, malgrado le trappole tese meschinamente da chi, ancora ieri, provava a ingenerare confusione giocando su equivoci che sono meschinerie. Anche da queste cose si coglie la strisciante debolezza, la malattia che colpisce e che non guarisce, la costante e inarrestabile perdita di credibilità.

 

I lavoratori hanno detto due cose: che sanno distinguere e che sanno scegliere. Che i sindacati non sono tutti uguali e che ci sono bandiere sotto le quali la parola conflitto assume una portata che non è solo rappresentativa, teatrale, scenica, ma diventa realtà. Sotto le nostre bandiere è sfilata la cosiddetta società civile, che lavora e che paga il mutuo, che ha pagato il prezzo della politica dei redditi e che chiede di tornare a praticare il conflitto come strumento di costruzione di un futuro diverso e migliore.

 

Da domani le lotte riprenderanno. Lo sciopero è stato una tappa. Ce ne siamo lasciati alle spalle uno di due ore indetto il 16 luglio scorso, ce ne lasciamo alle spalle un altro e ci troviamo davanti una strada ancora lunga. Di gente in cammino ce n'è tanta. Ci sarebbe piaciuto vedere ieri tutti i lavoratori fermi, con le braccia incrociate a guardare dritto negli occhi il nemico che gli sta togliendo diritti, salario e dignità. Alcuni invece si sono persi dietro alle pastoie di inutili ricorsi con i quali non si riscriveranno certo le leggi. Altri hanno creduto alle sirene degli scioperi geografici. Li aspettiamo anche noi questi scioperi: al nord, al centro e al sud, magari anche nelle isole già che ci siamo. Ma sappiamo di aspettare invano e sappiamo che invano aspetteranno quelli che prestano fede alle eterne promesse. Il treno è passato. Corre dritto per la sua strada carico di centinaia di migliaia di persone, cittadini, lavoratori, che hanno creduto in noi. E pazienza se non è stata una giornata di sole.