BRUTTI SEGNALI DAGLI UFFICI

Nazionale -

Non vorremmo apparire “romano - centrici”  parlando della DTL di Roma ma crediamo che quanto avviene presso questa DTL sia abbastanza significativo del trend nazionale riguardo la gestione autoritaria  degli uffici territoriali. Qui, nel giro di una manciata di anni, il personale è stato dimezzato, soprattutto quello ispettivo, non solo per i pensionamenti ma perché in gran parte letteralmente ingoiato dalla macchina amministrativa centrale.

Il nuovo dirigente ha attuato in brevissimo tempo la riorganizzazione dell’ufficio con la suddivisione  territoriale del servizio ispettivo per  aree geografiche e quindi l’eliminazione dei vecchi e cristallizzati settori merceologici forse retaggio culturale dell’antico “ispettorato delle corporazioni” di epoca fascista, senz’altro difficile da scardinare in una realtà sociale economica e politica come è quella della capitale e della sua provincia.

Bene, ma con quasi 150 ispettori in meno ed un personale amministrativo di supporto molto risicato, tutte le strategie (ammesso che ve ne siano)  messe in atto al fine di favorire - senza ritardi e senza alcun rischio di contaminazioni pericolose - un’azione di contrasto dei fenomeni  di illegalità ed  irregolarità  che si ripercuotono negativamente sulle condizioni dei lavoratori, diventano poco credibili in quanto ad efficacia ed efficienza. 

 Impossibile dunque con numeri ancor più  risibili del passato realizzare: “l’indirizzamento cogente della vigilanza su target specifici considerati meritevoli di particolare attenzione e caratterizzati da fenomeni di rilevante impatto economico – sociale” .

La spia di ciò è data  dal fatto che non c’è stata la volontà di mettere in atto in modo strutturale il coordinamento  fra i vari organi adibiti alla vigilanza sui luoghi di lavoro per un’azione di prevenzione e di controllo davvero efficaci e non solo per evitare le sovrapposizioni degli interventi ispettivi, pretesto questo  usato a piene mani  per  giustificare la necessità  dell’Agenzia Unica Ispettiva, che dato lo status quo rischia di diventare un ulteriore mostro burocratico.

Mentre per un verso il Ministero ha voluto e  permesso l’emorragia dei suoi ispettori, volati per altri lidi e spariti dai territori (in molti casi non ci sono mai stati), dall’altro ha operato ed opera, anche attraverso associazioni lobbistiche costituite ad hoc, al fine di  gonfiare numericamente il personale ispettivo ammucchiandolo in un unico organismo, l’Agenzia.

       Ci chiediamo: per fare cosa? Non lo sappiamo ma sappiamo bene quale è il valore che i governi  dell’alternanza attribuiscono alla funzione di vigilanza a tutela di quella che una volta era la  parte debole del contratto di lavoro, il lavoratore,  oggi  cinicamente considerata alla pari dei “datori di lavoro”: anzi sarebbe proprio  la parte datoriale a subire ricatti dai lavoratori, responsabili  con le loro pretese della non crescita dell’economia dell’Italia,  come si evince  dalla pervicacia con cui si pretende di abolire del tutto l’art. 18 della legge 300.

Ma cosa sta accadendo all’interno dei nostri uffici? E’ semplice e risaputo, accade che la responsabilità dell’inefficace attività di prevenzione e di controllo ricade quasi per intero sul personale.

Non stiamo qui a ricordare in quali condizioni operano gli ispettori sui territori, le aggressioni che subiscono, l’indifferenza del vertice politico amministrativo e la riluttanza a “concedere” almeno una parte delle loro sacrosante rivendicazioni. Purtroppo i diretti interessati lo sanno bene!

E non vogliamo neppure soffermarci troppo sull’attacco dei mass media asserviti al sistema (anche quelli che si auto proclamano indipendenti) per i quali gli ispettori del lavoro o sono istigatori al suicidio dei piccoli imprenditori, quando irrogano le sanzioni, come nel caso di Casalnuovo di Napoli, o fomentatori della riduzione in schiavitù dei minorenni nord africani,  quando non trovano il “nero”, come nel caso dei mercati generali di Roma.

Vogliamo però evidenziare un fenomeno  solo  in apparenza “piccolo piccolo” a fronte di problematiche senz’altro ben più gravi.

L’idea antidemocratica delle gestione della cosa pubblica, infatti, si evince   certo dalla prevalenza totale dell’esecutivo (il Governo) sul legislativo (il Parlamento) ma anche dall’autoritarismo  che imperversa nella P.A. volto a dimostrare che se “le cose vanno male” e il debito pubblico aumenta la massima responsabilità è solo e soltanto di chi vi presta servizio, cioè di noi “livellati”.

Ecco allora che alla DTL di Roma (ma il fenomeno è esteso un po’ dappertutto) vengono negate richieste, anche di pochi giorni, di congedo retribuito per gravi e documentati motivi di famiglia, o che viene  apposto un bel No, senza alcuna motivazione del diniego, sulle domande per usufruire  dei tre giorni l’anno previsti dall’art. 18, 2° comma del CCNL, quando il dipendente si trovi in presenza di “particolari motivi personali e familiari”,  e il diniego si riferisce a motivi né futili né insignificanti ma oggettivamente e ragionevolmente seri e documentati.

La discrezionalità dei Dirigenti  sempre più sconfina nella arbitrarietà  o nella subdola persuasività.

Ci spieghiamo solo così il perché della sottoscrizione da parte delle RSU di accordi sulla distribuzione del salario accessorio (come avvenuto in diversi uffici del meridione, ma temiamo non solo) dove è stato ribaltato completamente quanto previsto dall’accordo sul FUA 2013 sottoscritto in sede nazionale il 26 agosto u.s., e che comunque la USB non ha siglato per i motivi di cui abbiamo detto e scritto in molte occasioni.

Ma, come si dice, non c’è fondo al peggio!!!        

Infatti per quanto concerne l’incentivazioni sugli obiettivi l’accordo nazionale  stabilisce, anche per il 2013, che l’importo (trattandosi ancor più di briciole rispetto agli anni precedenti)  sarà  suddiviso in una voce per la produttività collettiva pari all’80% e in una voce per la produttività individuale pari al 20%. Sappiamo come a livello decentrato gli accordi possono essere peggiorati rispetto al nazionale,  perché  in questo o in quell’Ufficio c’è l’esigenza  da parte del Dirigente e della sua “corte” di accontentare alcuni gruppetti di lavoratori a scapito di altri e così ci si perde in mille assurde suddivisioni e peculiarità. Ma, fissare la quota per la produttività collettiva al 40%  e quella per la produttività individuale al 60%  (es. DTL di Napoli) o addirittura il 30% e il 70% come alla DTL di Caserta (quest’ ultimo avvallato solo dalle firme dei territoriali di CISL e UIL) suona come  la volontà di affermazione della propria autorità su tutti: i c.d. sottoposti, l’Amministrazione Centrale, le OO.SS. che hanno seguito le trattative in quel di via Flavia n. 6, indipendentemente dalla firma o meno dell’accordo integrativo collettivo.  Brutti segnali davvero.

Roma,  1 dicembre 2014

                                                            

USB- P.I./ Coordinamento Nazionale Lavoro e P.S.