Dogane Monopoli - Pensavamo ad un pesce d'aprile

Roma -

Poiché il caso ha voluto che quando siamo venuti a conoscenza del verbale di riunione del Comitato Tecnico sulle divise di servizio fosse proprio il 1^ di aprile ci è venuto naturale pensare che qualcuno, nonostante il periodo che stiamo vivendo, non aveva perso la voglia di scherzare.

Ci sembrava infatti alquanto inverosimile che in una riunione del 24 marzo si facesse riferimento ad una proposta progettuale della Conferenza dei Direttori del 12 marzo (che, lo ricordiamo, è la data in cui con decreto d’urgenza si applicavano in tutta Italia le misure di contenimento del rischio contagio) e che in quella data si pensasse a stabilire quali divise realizzare prioritariamente, a quale stile si dovessero ispirare, alle ipotesi grafiche per le mostrine corrispondenti alle aree e fasce di appartenenza.

Veniamo così indirettamente a sapere che i nostri Direttori non conoscono le nostre qualifiche e le reinventano, superando la distinzione tra posizione economica e giuridica e colmando con gradi militari il vuoto lasciato dal CCNL Funzioni Centrali nella parte “ordinamento professionale”.

Che qualcosa si stesse muovendo sull’argomento divise si è poi chiarito nei giorni successivi, quando hanno cominciato a circolare disposizioni che, con toni perentori e minacciosi, invitavano i dipendenti tutti, a prescindere dal servizio svolto, a fornire le taglie corrette e per non correre il rischio di sbagliare si allegavano vademecum degni di un corso di sartoria.

E poi, richiami da parte dei direttori degli uffici alla necessità per tutto il personale di indossare la divisa per dare una buona immagine della nostra amministrazione  “in considerazione della peculiarità della situazione”, richiami volti soprattutto a dare adeguata visibilità mediatica alle operazioni di requisizione o di sdoganamento veloce di materiale legato all’emergenza Covid19.

Difatti lo abbiamo notato nei servizi televisivi, in cui sono apparsi dirigenti in divisa operativa intenti ad imballare fisicamente scatoloni, direttori regionali che firmavano a favore di telecamere verbali di requisizioni nonché folti gruppi di colleghi in divisa che si stringevano, incuranti delle disposizioni sul distanziamento, per rientrare nelle inquadrature.

In nome della visibilità mediatica, il particolare che quelle operazioni si siano svolte il più delle volte a seguito di un controllo documentale da remoto non ha impedito che si trovasse una sceneggiatura adeguata alle esigenze televisive.

Allora forse non sbagliavamo di molto quando pensavamo si trattasse di un pesce d’aprile, ma uno scherzo è bello quando dura poco. Non siamo militari, non siamo attori, le divise usate nei porti e negli aeroporti per esigenze di riconoscibilità non sono i nostri costumi di scena atti a soddisfare la (tragica) esigenza mediatica di turno.

Le  dogane e i monopoli non sono nate ieri e la loro immagine positiva è basata sulla serietà con cui hanno da sempre svolto i compiti istituzionali che gli sono stati affidati: questo sarebbe piuttosto necessario riconoscere, recuperando i tagli che da anni colpiscono i nostri salari, con un ordinamento professionale che non mortifichi il nostro diritto ad una carriera,  con un piano di assunzioni che ridia respiro ad un organico ridotto all’osso. Non c’è invece alcun bisogno di inventarsi un nuovo look.