Entrate, quando la privacy salva gli evasori fiscali

Una preoccupante nota dell’audit non chiarisce i limiti di utilizzo dell’anagrafe tributaria

Roma -

Una recente nota a firma della Direzione centrale audit e sicurezza, ci fa temere che stia partendo una nuova caccia alle streghe dentro l'Agenzia delle Entrate. Il timore non appare infondato, soprattutto se leggiamo questa nota alla luce dei recenti interventi del Direttore dell’Agenzia nei confronti degli accertatori “troppo zelanti”, o alla luce dell’articolo 7 del decreto sviluppo che ridimensiona l’attività di controllo e vigilanza in materia fiscale.

 

Sgombriamo subito il campo da possibili equivoci e strumentalizzazioni, dicendo che se un'amministrazione qualunque è a conoscenza di illeciti amministrativi, civili o penali compiuti dai propri dipendenti, ha l'ovvio diritto-dovere di perseguirli secondo la legge.

 

Ciò detto, riscontriamo nella nota in questione alcuni elementi che ci sembrano gravi e pieni di ambiguità. Innanzitutto chiediamo al firmatario della nota di chiarire cosa intenda per accessi "impropri" alla banca dati dell'anagrafe tributaria. Dove finisce la normale attività di indagine e dove comincia la violazione della privacy? Non è questa una domanda oziosa, perché chiunque conosca i fondamenti del lavoro svolto negli uffici sia nel settore dei servizi sia in quello del controllo sa che non è agevole definire il confine fra attività conoscitiva e violazione della privacy. Una nota a firma del massimo vertice del servizio ispettivo interno avrebbe dovuto chiarire meglio i termini della improprietà degli accessi.

 

In secondo luogo, non siamo affatto sicuri che l'Agenzia delle Entrate abbia fatto del suo meglio per diffondere una radicata e consapevole cultura della sicurezza dei dati sensibili.

 

Ci pare piuttosto che abbia fatto il minimo indispensabile per poter addossare ai lavoratori la responsabilità e l'onere di custodire dati importanti.

 

Ci chiediamo ad esempio, quante risorse ha investito l'Agenzia sulla formazione dei lavoratori in materia di trattamento e custodia dei dati sensibili. Sappiamo che è stata fatta tanta “formazione” in e-learning ma questo metodo non è adeguato a ottenere una valida formazione in una materia così delicata e pericolosa.

 

Non sappiamo quante risorse investe l'Agenzia per custodire adeguatamente i milioni di dati sensibili che sono contenuti negli archivi cartacei degli uffici, ma conosciamo fin troppo bene le condizioni normali in cui versano, che li rendono ben lontani dagli standard di sicurezza che l'Agenzia pretende dai lavoratori.

 

Quanto sono conformi alle norme sulla sicurezza gli archivi, le scrivanie, le postazioni front office che pure sono piccole banche dati alla mercé di qualunque sguardo indiscreto per non dire altro? Ci pare quindi incredibile che un tema così importante debba essere affrontato e declinato sempre secondo il punto di vista per cui sbagliano i lavoratori mentre l'Agenzia non sbaglia mai e anzi si permette di bacchettare indistintamente.

 

Su queste considerazioni vorremmo che rispondesse innanzitutto l'estensore della nota in questione, e con lui i vertici dell'Agenzia. Tutti, loro per primi, abbiamo scolpiti nella memoria gli esiti della campagna mediatica sul presunto spionaggio fiscale di cui si sarebbero macchiati migliaia di lavoratori. Quella campagna si è conclusa con la piena assoluzione della stragrande maggioranza dei lavoratori. Il fango gettato a palate su di loro è rimasto impunito mentre a fronte di una colpevolizzazione di massa gli illeciti si sono potuti contare sulle dita delle mani.

 

Oggi ci risiamo, con le minacce urbi et orbi, che non rendono giustizia ai lavoratori e non consentono di affrontare una materia così importante nel modo giusto. I lavoratori sanno da tempo che ormai si rischia la sanzione anche rispettando regole, procedure e istruzioni operative. Si chiede loro elasticità nel prendere decisioni, flessibilità nelle scelte operative, ma poi li si minaccia di sanzioni nel caso di comportamenti "impropri". Cosa vuol dire?

 

Chiediamo all'Agenzia di affrontare questo argomento con più trasparenza e serietà. Ci piacerebbe che l'uso delle banche dati venisse incoraggiato e potenziato per dare la caccia agli evasori fiscali. Ci pare invece che, ancora una volta, sul banco degli imputati ci finiscano i lavoratori del Fisco. Non vorremmo arrivare al paradosso che smascherare un evasore fiscale debba essere considerato violazione della privacy!

 

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