IL DEFAULT DELLE AGENZIE FISCALI
INCARICHI DIRGENZIALI E POT: IL DEFAULT DELLE AGENZIE FISCALI
Abbiamo atteso che tutti i giudizi arrivassero a compimento (si fa per dire visto che si tratta di una storia infinita), prima di prendere parola sul vero e proprio tsunami organizzativo che la vicenda connessa con i concorsi per dirigenti, gli incarichi dirigenziali e le POT, stanno determinando all’interno delle Agenzie Fiscali.
Da tempo abbiamo detto ciò che pensavamo e poco abbiamo da aggiungere a quelle analisi fatte (vedi ottobre 2015 e novembre 2015).
Al di là delle singole pronunce, delle sospensioni, dei rinvii, il quadro che ne esce è quello di un comparto letteralmente dilaniato dove si sta giocando una partita sporca, che con i diritti e le aspirazioni professionali dei lavoratori non ha nulla a che vedere.
Vanno però individuate precise responsabilità da parte di un management che ha fatto dell’autoreferenzialità e della protervia nel procrastinare all’infinito politiche retributive fallimentari e divisive, la sua stessa ragione di vita. Politiche che hanno fatto rientrare dalla finestra ciò che era uscito dalla porta a seguito della sentenza della Corte costituzionale, anche attraverso l’utilizzo spregiudicato del famigerato articolo 19, comma 6.
Responsabilità che rappresentano il fallimento di una politica di gestione del personale a vantaggio di una ristretta cerchia di eletti e a scapito della stragrande maggioranza dei lavoratori.
Responsabilità che hanno reso il sistema agenziale attaccabile da una classe politica che ha sempre strizzato l’occhio all’evasione fiscale e da chi, dal caos, vorrebbe uscirne privatizzando un settore che per definizione non può che essere pubblico.
Responsabilità che rendono impossibile, oggi, ai vertici delle Agenzie persino bandire un concorso pubblico per dirigenti, senza che questo venga regolarmente impallinato dal fuoco amico o nemico che sia.
Responsabilità che hanno generato una guerra senza quartiere di tutti contro tutti, che ha reso l’aria all’interno dei posti di lavoro irrespirabile, alla faccia di quel benessere organizzativo tanto sbandierato quanto mai praticato da chi se ne riempie la bocca.
Responsabilità che ha determinato tra i lavoratori disaffezione, frustrazione e la convinzione di non aver alcuna speranza di poter vedere riconosciuta la propria professionalità se non si fa parte del cerchio magico.
Quella stessa dirigenza responsabile di questa situazione, si arroga oggi il diritto di voler valutare i lavoratori, attribuendo pagelline, numeretti ed algoritmi che nulla hanno a che fare col lavoro che quotidianamente si svolge negli uffici.
Nello sciopero del 21 ottobre, oltre la rivendicazione per aumenti contrattuali veri e per un contratto che segni un avanzamento reale delle nostre condizioni di lavoro, dovrà entrare anche tutta l’indignazione per una gestione del personale che per anni ha mortificato la nostra dignità.