Lombardia - Entrate, LA LEGALITA' FORMALE E LA DEMOCRAZIA SOSTANZIALE
Dietro lo schermo del contratto collettivo “iddi sa cantanu e iddi sa sonanu”
Notiziario su Incontro in DP I del 18 maggio.
Ne abbiamo sentite dire di tutti i colori in campagna elettorale: che prima o poi tutti i sindacati avrebbero firmato (non si sa bene come un contratto siglato in formula definitiva) e che era inutile (!) votarci perché tanto saremmo scomparsi.
Non abbiamo firmato e non siamo scompars*.
Certo non lo avevano detto in campagna elettorale che sarebbero stati i primi tutori delle forme dell’art.7 del contratto arrivando addirittura al fantasismo giuridico e ad estenderlo ad un altro articolo del contratto (l’art. 4).
CGIL, CISL e UIL dopo aver fatto saltare lo scorso incontro per la presunta irregolarità nella formazione del tavolo confermano la loro linea di esclusione e tirano dritto a chiudere gli spazi di confronto arrivando a tirare le orecchie all’Amministrazione per averci informato che la richiesta di esclusione arrivasse proprio da loro, salvo poi, nel faccia a faccia, non avere il coraggio di consegnare copia formale di tale esclusione.
Il Salfi, invece, a domanda diretta, dice che la presenza dei firmatari al tavolo sindacale non crea alcun problema, ma che di queste osservazioni ci si può al più arricchire, ma senza tenerne conto (!). Una graziosa concessione, insomma.
Sappiamo benissimo la grande differenza che passa tra legalità formale e giustizia sostanziale, sappiamo benissimo che la nostra Costituzione fonte primaria e regolativa dei diritti fondamentali viene costantemente svuotata dall’interno tramite strumenti formalmente corretti.
L’art. 39 della Costituzione recita L'organizzazione sindacale è libera. Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge.
È condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica.
I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce.
Possono, non devono. Ha fatto notare un caro collega, anche lui rappresentante di un sindacato non firmatario del peggior contratto collettivo degli ultimi vent’anni. Siamo rimasti a quel tavolo.
- Abbiamo portato avanti la questione sull’IVA di gruppo, evidenziando che se da un lato il risultato (la diminuzione del carico di lavoro a UT Milano 1) è stato ottenuto, dall’altro si sono cristallizzati una serie di principi pericolosi: il riferimento alle “professionalità coinvolte” (fonte di discriminazione passiva specie ove non accompagnata da un serie piano formativo generalizzato), la sproporzione delle lavorazioni tra le DP della Lombardia (assegnatarie 5 su 13), l’imputazione delle criticità sempre e comunque e verso il basso “le assenze dei colleghi” laddove era semplicemente manifesta l’abnormità dei numeri e la possibilità di adottare dei correttivi a monte.
- Abbiamo contrastato a stretto giro di boa, insieme ad alcune e non a tutte le organizzazioni la soppressione del team ex 36 ter Ut Milano 4, ufficio strategico e già destinatario di amputazioni organizzative (due Capi Area);
- abbiamo difeso, insieme ad alcune e a non a tutte le organizzazioni, il principio di parità, trasparenza e oggettività che dovrebbe informare ogni procedura che prevede trasferimenti di personale e allocazione delle risorse umane e professionali;
- abbiamo chiesto chiarimenti su una mancata proroga a incarico di capo team a una neo mamma;
- abbiamo chiesto che qualunque atto di parte pubblica che impatti sull’organizzazione venga comunicato alle RSU e alle OS.SS e non solo al personale coinvolto manco fossimo il SISDE;
- abbiamo chiesto che la polifunzionalità non sia una fisarmonica che parte pubblica apre quando si tratta di chiedere adattamento alle contingenze e chiude quando si tratta di formare o accogliere aspirazioni e crescita professionale improntata al cambiamento;
- abbiamo chiesto a che punto siamo con gli applicativi per gli istituti dei permessi, visto che il contratto è stato firmato da appena tre mesi (!) e conosciamo bene quanto le farraginosità della SOGEI possano impattare sulle condizioni reali;
- abbiamo ricordato per l’ennesima volta lo stato di salubrità dei bagni a ut Milano 1, per i quali la misura comincia a essere colma e inizia a serpeggiare un incontenibile bisogno di salire su ai bagni patrizi che evidentemente non hanno il vincolo della Sovrintendenza ai Beni culturali citata come elemento ostativo al recupero (1).
Quello stesso giorno, venerdì, a Roma in sede di doppia convocazione piombava come un fulmine a ciel sereno la riorganizzazione: l’ennesima fatta sopra le teste delle lavoratrici e dei lavoratori. Senza coinvolgimento, senza progettualità, senza analisi di rischio. Una riorganizzazione per la quale abbiamo già chiesto un incontro in Direzione Regionale tenendo bene a mente che via dei Missaglia, sede della DP, al di là della legalità formale sia comunque sede periferica, disagiata e mai digerita.