Lombardia - Entrate, Milano: alla vigilia di una riorganizzazione, tra il classismo settecentesco e l'improvvisazione jazz
Una riorganizzazione creata in vitro che ratifica una logica ottocentesca per cui intorno al bisogno di pochi si delinea il futuro di molti.
Una riorganizzazione che macina come uno schiaccia sassi decisioni mentre passano in coda i diritti retributivi come le spettanze di un salario maturato la bellezza di tre anni fa.
Che cambia la forma massimizzando i profitti per il suo vertice e peggiorando ulteriormente le condizioni per la base della piramide: spostamenti funzionali senza formazione, aumento dei turni allo sportello, riallocazioni al rush finale.
Una riorganizzazione che passa dal mantra della compliance e del contribuente che ha sempre ragione costi quel che costi pure se insulta gratuitamente al rischio di diminuzione dei servizi all’utenza.
Una riorganizzazione ad assetto variabile che pretende performance e obiettivi percentuali come se nulla fosse variato, d'altronde in questi anni gli atti amministrativi sono diventati prodotti.
Che aumenta le retribuzioni ai generali (abbiamo una media di 1 POER ogni 26 lavoratori) mentre si tagliano i fondi per la sicurezza lasciando le lavoratrici e i lavoratori in balia della rabbia sociale montante, delle aggressioni fisiche e verbali e lo stress schizza con un rischio burn out che aumenta nell’indifferenza generale pur a fronte di plurime segnalazioni.
Una riorganizzazione che tiene nel limbo il diritto alle ferie e allo straordinario in questa impazzita stagione di mezza estate. Che gestisce in vitro i carichi di lavoro calati dall'alto a cascata arrivando all'algoritmo del monitoraggio quotidiano.
Che ratifica che ci sono gerarchie più potenti della Corte Costituzionale.
Una riorganizzazione, l’ennesima, possibile solo grazie al senso di responsabilità di migliaia di lavoratrici e lavoratori che sanno mettersi in gioco ogni giorno. Lavoratori e lavoratrici che somigliano sempre più dei limoni spremuti dal succo amaro come il veleno del sentirsi pedine di un gioco più grande di loro.