Smart working all’ADM: il caos è condiviso!!!

Roma -

Dopo la confusione generata dalla Direttiva della scorsa settimana, nemmeno l’accordo sindacale siglato ieri fa chiarezza sulle attività da rendere in presenza.

USB non ha firmato il nuovo accordo sullo smart working che di fatto è una scatola vuota che ratifica decisioni già prese dall’Agenzia, crea incomprensibili rigidità nella gestione dei rientri, senza adeguare le norme di sicurezza alla maggiore presenza in ufficio, e rimette in discussione il riconoscimento dei buoni pasto.

L’art 263 del DL Rilancio prevedeva che il lavoro agile rimanesse la modalità di lavoro ordinario fino al 15 settembre, fermo restando la possibilità di individuare ulteriori attività da rendere in presenza in base alle esigenze dei cittadini e delle imprese. Dal 15 settembre, definite le attività da rendere in presenza, si sarebbe applicato il lavoro agile “al 50% del personale impiegato nelle attività che possono essere svolte in tale modalità” fino al 31 dicembre.

La data del 15 settembre non era casuale, avrebbe consentito di gestire la fase di transizione nel mese di agosto e fino alla riapertura delle scuole. L’Agenzia ha invece dapprima forzato il percorso graduale delineato dalla norma facendo stabilire ai singoli dirigenti quali fossero le attività da rendere in presenza ed emanando una Direttiva in cui dal 1° agosto ci si sarebbe dovuti attenere alle nuove disposizioni dell’art. 263, per poi chiamare i sindacati, senza sospendere la Direttiva già emanata, chiedendogli di fatto di ratificare le decisioni già prese, tra cui il venir meno del requisito dei figli minori di 14 anni quale condizione privilegiata per il ricorso al lavoro agile.

Questa forzatura impedirà infatti una vera fase di confronto e di transizione. Anche l’adeguamento dei protocolli di sicurezza alla nuova situazione e a quanto stabilito dal Protocollo nazionale siglato il 24 luglio avverrà inevitabilmente a posteriori. Come si può infatti considerare “preventiva” un’informativa sulle attività da rendere in presenza quando è già in vigore una Direttiva in cui viene riportato che “...i Dirigenti hanno puntualmente individuato i contingenti di personale da assegnare ai servizi da svolgere in presenza …” o considerare soddisfacente l’impegno del tutto generico a prevedere non meglio specificate “forme di garanzia, anche sanitaria, per il personale in verifica esterna”?

Il vincolo dei 2 e 3 giorni di rientro su base bisettimanale, non cumulabili, crea inoltre una inspiegabile rigidità nel perseguire l’obiettivo del 50% fissato dalla norma. Non contemperando le diverse esigenze con una maggiore flessibilità e favorendo solo i rientri a tempo pieno del personale che ne faccia istanza, si rende evidente il pregiudizio dell’Agenzia verso la modalità di lavoro agile, del resto più volte dichiarato al tavolo sindacale dal Direttore del Personale.

Infine il passo indietro sui buoni pasto, motivato da una sentenza di primo grado del Tribunale di Venezia che riguardava un contenzioso in seno al Comune. Come non osservare che nei contenziosi che hanno riguardato direttamente l’Agenzia e i suoi dipendenti, ad esempio sul riconoscimento dei buoni pasto in allattamento, l’Agenzia è arrivata fino in Cassazione limitandosi ad applicare ai soli dipendenti ricorrenti i gradi di giudizio intermedi a loro favorevoli. In questo caso, nemmeno fossimo in uno stato di diritto anglosassone, si torna sui propri passi per un giudizio di primo grado che non ha nulla a che fare con l’Agenzia.

Non c’era inoltre certo bisogno di un accordo sindacale per rimettere la questione ad un parere della Funzione Pubblica e non abbiamo dubbi che in questo caso, al contrario dell’informativa sindacale, sarà realmente preventivo.

Rimettendo in discussione i buoni pasto, sarebbe stato doveroso almeno porsi il problema dei costi che i Lavoratori devono sostenere e degli strumenti informatici che devono utilizzare. Invece nulla di nulla!