TASSA SULLA MALATTIA E CORONAVIRUS

Roma -

In una situazione di allarme generalizzato quale quella che stiamo vivendo in questi giorni a causa della preoccupante diffusione del contagio del “coronavirus”, il ministero della sanità, forse incosciente della realtà, richiede ai lavoratori pubblici di astenersi dalle prestazioni lavorative “in caso di sintomatologia quale febbre, tosse, mal di gola, difficoltà respiratorie” confidando sul nostro senso civico, quasi invitandoci a restare a casa.

Peccato che, sulla base della normativa attuale, il nostro senso civico lo paghiamo profumatamente grazie alla tassa sulla malattia di brunettiana memoria.

Questo scandaloso balzello imposto ai dipendenti pubblici italiani, lungi dall’aver eliminato l’assenteismo ha determinato le condizioni ottimali, unitamente agli orari da GALERA di reperibilità obbligatoria, per far sì che gli stessi si presentino in ufficio anche quando evidentemente AMMALATI.

Basta fare un giro per gli uffici e lo si può verificare. È tutto un tossire, uno starnutire, un tirar su con il naso che fa ricordare più le corsie di alcuni reparti ospedalieri che non un efficiente ufficio pubblico. Forse oggi qualche decisore politico potrebbe chiedersi quale sia il vantaggio, anche dal punto di vista macroeconomico di una scelta che pone le pubbliche amministrazioni italiane in una condizione di strutturale debolezza nei confronti di ogni fenomeno patogeno, sia esso causato da virus o da altri agenti eziologici. La realtà è che i dipendenti pubblici ormai restano a casa solo quando non hanno altra scelta. Non ci soffermiamo sulla disgustosa immoralità di una TASSA SULLA MALATTIA, ma soprattutto alla luce dei fatti quali si stanno delineando e nell’ottica delle possibili ripercussioni di scelte tanto miopi, diventa ancora più attuale la battaglia che da sempre USB conduce contro la tassa sulla malattia. Onde evitare di far diventare questa tassa un contributo alla diffusione di malattie.

LA PREVENZIONE È L’UNICA ARMA A DIFESA DALLE EPIDEMIE