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Agenzie Fiscali - Diritti, retribuzioni e dignità: non rinunciamo a nulla!

Roma -

L'alta adesione allo sciopero offre un dato che fa riflettere.

Nel corso delle tantissime assemblee che abbiamo tenuto con i lavoratori delle Agenzie Fiscali in preparazione dello sciopero di venerdì scorso, abbiamo raccolto il senso di una rabbia diffusa che pretende di essere tradotta in proposte sindacali concrete.

La rabbia non è solo contro il blocco dei salari e lo smantellamento dei contratti collettivi ma contro la continua deriva verso l'imbarbarimento delle condizioni lavorative.

Come diciamo da anni, l'offensiva che i lavoratori subiscono non colpisce solo le loro tasche ma anche la loro dignità.

Oggi questo sembra essere chiaro anche a quei lavoratori tradizionalmente distanti dal nostro “linguaggio” e dalle nostre proposte che però avvertono e sentono bruciare il “tradimento” del sindacato che si identifica totalmente con le ragioni del datore di lavoro, che non rappresenta più i lavoratori, che ignora i loro bisogni e le loro urgenze.

L'accordo del 4 febbraio è solo l'ultima tappa di un tradimento ventennale, cominciato con la promessa fatta nel 1993 che la politica dei redditi avrebbe evitato una crisi strutturale.

Oggi c'è la crisi, c'è l'inflazione e c'è il blocco delle retribuzioni.

Ma ciò che oggi i lavoratori sperimentano, in termini di peggioramento delle loro condizioni contrattuali e lavorative, riguarda anche un vissuto quotidiano in cui non si riconoscono più.

In tutti questi anni abbiamo criticato una serie di scelte (e di accordi) non solo per gli effetti diretti che producevano, ma anche perché hanno creato i presupposti materiali (verrebbe da dire culturali) che oggi consentono di imporre condizioni lavorative peggiori e una più bassa tutela dei diritti e della dignità.

La prepotenza e l'arroganza dell'amministrazione dilagano ovunque e l'organizzazione del lavoro è materia sottratta al confronto sindacale, con l'avallo della “maggioranza” dei sindacati, proprio nel momento in cui la leva organizzativa andrebbe controllata.

Attraverso di essa passano i maggiori carichi di lavoro, peggiora la qualità del lavoro e si orientano le scelte aziendali per indebolire i lavoratori costruendo migliori condizioni per pochi (pensiamo ai concorsi per i dirigenti, agli incarichi dirigenziali e all'abuso di posizioni organizzative e incarichi di responsabilità a spese del fondo di tutti i lavoratori).

L'amministrazione oggi si fa libera interprete della riforma Brunetta cogliendone la vera essenza di strumento per affermare la presunta supremazia professionale e il primato del dirigente sul dipendente.

Una parte del sindacato agevola questa operazione, voltando le spalle alla maggioranza dei lavoratori che reagiscono con la sfiducia.

Strappare la tessera sindacale sembra diventato lo sport nazionale, fortunatamente non praticato dai nostri iscritti .

Tuttavia strappare la tessera è solo una scelta a metà se non si dà fiducia ad altri progetti, ad altre proposte.

Perché la bassa sindacalizzazione oggi è un rischio per tutti.

Un conto è fare cattivo uso delle prerogative sindacali, altro è rinunciarvi e rafforzare la controparte.

Per questo ai lavoratori diciamo che è ora di scegliere da che parte stare.

Oggi una parte del sindacato crede di poter trarre vantaggio dall'uso spregiudicato di certi istituti contrattuali, (incarichi dirigenziali, posizioni organizzative e di responsabilità) che non rispondono solo all'intento dichiarato di premiare il merito e la professionalità ma diventano strumenti di mediazione.

La domanda è: ha futuro un sindacato che si accontenta di co-gestire le scelte aziendali magari in nome degli interessi di una parte minoritaria dei lavoratori ma tradendo la maggioranza; o serve il conflitto, ragionato e ragionevole, articolato in proposte concrete per rappresentare in modo più equilibrato gli interessi di tutti i lavoratori.

USB ha scelto da che parte stare e le migliaia di lavoratori che l'undici marzo hanno accolto la nostra proposta di sciopero hanno raccolto la sfida.