Entrate, ma quale concorso pubblico per dirigenti! Una scandalosa sanatoria privata per gli incaricati dirigenziali!

Roma -

All’Agenzia delle Entrate è stato bandito un “concorso pubblico” per 403 dirigenti: definire concorso pubblico una procedura che attribuisce ben 45 punti a chi ha già ricoperto incarichi professionali formalmente conferiti, in una amministrazione ove vi sono ben 763 incaricati dirigenziali sine titulo, è un eufemismo. E allora chiamiamo le cose col vero nome e diciamo che non di concorso pubblico si tratta bensì di una sanatoria privata nei confronti degli incaricati dirigenziali!

 

Tanto è vero che il Ministero dell’Economia ha puntato l’indice contro il sedicente concorso paventando il rischio (noi diciamo la certezza) che tutta la procedura serva in realtà a confermare gli incarichi già conferiti.
Bandire un concorso vero che riservi pari possibilità a tutti i partecipanti non passa nemmeno per la mente di un management abituato a scegliere i suoi uomini con metodi discutibili.

 

E pensare che per i comuni mortali, cioè i lavoratori, le regole per accedere all'Agenzia delle Entrate o per avere qualche minimo riconoscimento professionale sono durissime e selettive. Succede per chi cerca lavoro e deve affrontare prove molto selettive incluso un lungo tirocinio teorico pratico. È successo con i passaggi dalla seconda alla terza area quando i lavoratori hanno dovuto sostenere un concorso vero e proprio che si è concluso come sappiamo, con meno vincitori dei posti disponibili. Succede quando l’Agenzia non assorbe una graduatoria di idonei del vecchio concorso per i CAM, dopo le nostre reiterate richieste e malgrado la possibilità finanziaria di farlo o quando ne bandisce uno per 140 posti riservando solo il 20% agli interni che però devono essere anche iscritti negli albi professionali. È successo con le progressioni economiche, trasformate in un’altra vergognosa selezione (come dimenticare il 10% dei posti assegnati con assoluto arbitrio dai direttori regionali?).

 

Estrema selettività verso il “basso” ed arbitrio per quel che riguarda le posizioni apicali, raddoppiate con l'incorporazione del territorio mentre, come abbiamo già riferito in un precedente comunicato, fioccano nuovi uffici e posizioni dirigenziali o posizioni dirigenziali speciali come va di moda ultimamente.

 

Tutto questo ci induce ad una considerazione: la gestione targata Befera ha garantito rendite di posizione per sé ed una cerchia ristrettissima di fedeli, seminando disaffezione e indignazione nei confronti del resto dei lavoratori. Un bilancio decisamente in rosso per la stragrande maggioranza dei lavoratori ed in attivo per chi è entrato nel cerchio magico disegnato da questa amministrazione (incarichi dirigenziali, posizioni organizzative e incarichi di responsabilità).

 

Adesso che si susseguono le voci sulla successione di Befera, noi esigiamo discontinuità e radicale inversione di tendenza: un direttore generale deve garantire politiche del personale equilibrate ed eque e soprattutto orientate a potenziare il comparto a partire dalla valorizzazione delle risorse già esistenti (leggi completamento delle progressioni economiche). E deve essere concentrato esclusivamente sulla gestione dell’Agenzia, pensando a valorizzarla anziché restare inerme o favorire processi di esternalizzazione delle funzioni più delicate.

 

Se questa discontinuità non dovesse essere garantita, l'USB non farà sconti e continuerà a dare battaglia, a prescindere dal nome che porterà il successore di Befera.

 

Questa modalità di gestione del nostro comparto si innesta in un quadro più generale  fatto di blocchi contrattuali sine die, dismissione di uffici, scenari futuri (ma oramai prossimi) fatti di esuberi e mobilità ai quali l’USB risponderà con lo sciopero generale della categoria.

 

In quello sciopero deve convergere la nostra rabbia come lavoratori pubblici (martoriati da una perdita di salario che fin qui è stata di oltre 6.000 euro), come lavoratori del fisco (offesi per la gestione proprietaria della cosa pubblica) e come cittadini ai quali si tagliano servizi che noi finanziamo pagando le tasse fino all’ultimo centesimo.