Entrate - Progressioni: chi passa e chi non passa, i due volti dell'operazione
Anzianità, titoli e valutazione: quando le scelte fanno la differenza fra chi «sì» e chi «no»
Forse mercoledì sarà la volta buona per chiudere una partita lunga un anno, quella delle progressioni economiche.
Qualcuno sta già rivendicando il successo delle proprie proposte, ma la verità è che l'operazione rischia di essere inadeguata rispetto alle legittime aspettative maturate dai lavoratori.
Parliamo di circa 33mila persone che hanno profuso sforzi enormi, in questi anni, per assicurare il funzionamento della macchina fiscale in condizioni talvolta difficili, talvolta proibitive com'è stato in occasione della recente, caotica riorganizzazione degli uffici finanziari.
A quelle persone andrebbe ora un riconoscimento per la loro professionalità, alle porte di un triennio di blocco dei contratti e delle retribuzioni i cui effetti potrebbero essere ben peggiori di quelli sperimentati sulla busta paga di dicembre.
La stabilizzazione di una parte del salario accessorio era ed è ancora un obiettivo alla portata, ma ci sono resistenze e tentennamenti che rendono difficile il varo di un'operazione davvero soddisfacente, come sarebbe quella di assicurare in tempi ragionevoli un passaggio di fascia per tutti i lavoratori.
La chiave di una buona operazione sta proprio nella sua totalità, nel suo completamento.
Alle Entrate si sta rappresentando, in forma melo-drammatica, il futuro prossimo venturo.
L'ideologia meritocratica ispira le proposte dell'amministrazione; le relazioni sindacali orientate alla cogestione, dopo il disastroso ventennio della concertazione, ispirano una parte del sindacato.
La trattativa è fatta di vorrei-ma-non-posso e di potrei-ma-non-voglio e il rischio è di accordarsi su un guazzabuglio in cui c'è posto per pericolose fantasie valutative non meno peggiori di quelle brunettiane.
Dal solco della valutazione individuale non si vuole uscire, come se si fosse ormai davanti a un immutabile imperativo categorico, anche se per ora nessuna legge la impone e il contratto non la prevede.
La valutazione non è un obbligo.
Quanto al resto, sembra accettato il dogma dei dodicimila, non uno di più tant'è vero che i numeri dell'accordo li leggiamo perfino sui giornali, prima ancora che l'accordo ci sia.
La scelta di non dare una progressione economica a tutti i lavoratori è dunque una scelta politica, che anticipa il futuro e nega una possibilità.
Dodicimila è il limite imposto dalla volontà di non dare segnali che l'amministrazione ritiene sbagliati, alle soglie dell'era della meritocrazia.
Poteva essere l'ultima operazione ispirata ai più saggi criteri contrattuali e invece rischia di essere la prima operazione ispirata alla scellerata visione brunettiana.
Se si rinuncia alla rivendicazione fondamentale di aumentare il numero dei posti, tutte le altre proposte diventano parzialmente dannose.
Fissando i punteggi di titoli, anzianità e valutazione, si decide chi sta dentro e chi sta fuori al punto che l'elenco dei “vincitori” potrebbe essere un allegato all'accordo.
Il meccanismo contrattuale delle progressioni si basa su titoli e anzianità proprio perché è inclusivo e presuppone un percorso a esaurimento.
Occhio dunque a rivendicare proposte parziali, perché ogni proposta da una parte premia, dall'altra punisce.
E non è mai stato questo lo spirito contrattuale delle progressioni economiche entro le aree.
Chi oggi resta fuori dall'avanzamento dovrebbe poter contare sul fatto che in tempi ragionevoli arriverà il suo turno, ecco perché la chiave del successo dell'operazione sta nella sua totalità.
Al tavolo si sta giocando un doloroso gioco a eliminazione e ogni scelta o proposta farà delle vittime.
La nostra preoccupazione non è per chi avrà un passaggio meritandoselo pienamente, quanto piuttosto per chi, meritandolo altrettanto, verrà “eliminato” da un impietoso gioco di titoli, punteggi e valutazione individuale.
Per questo continuiamo a chiedere che la nuova stagione di progressioni economiche, attribuite in base ad anzianità e titoli, si concluda solo quando tutti i lavoratori ne beneficeranno.
Tutti, non uno di meno.
PS: se per assurdo un provvedimento legislativo di fine anno bloccasse per il 2011 l'applicazione della riforma – inclusa la meritocrazia - evocare il fantasma della valutazione come si sta facendo solo alle Entrate sarebbe ancora più insensato. Invece dei fantasmi, sarebbe meglio dare la caccia agli evasori...