Sicilia - dalle piazze ai posti di lavoro che la marea si faccia goccia per rompere il silenzio. Mai più zitte, mai più sole, mai più sottomesse

Catania -

Mentre scriviamo abbiamo ancora l’eco delle piazze gremite contro la violenza di genere che hanno riempito le città italiane nei giorni scorsi. Un’ondata che in tant@ hanno definito anomala, emotiva, sensazionalistica, depotenziandone così l’assoluta valenza di risposta collettiva, allo stesso tempo arrabbiata e ragionata, al fenomeno strutturale della violenza.

Come Organizzazione Sindacale abbiamo colto la potenza dirompente di Non Una di meno e sin dal lontano 2016, anno della sua nascita in Italia, abbiamo messo a disposizione del movimento femminista lo strumento dello sciopero e la nostra lente di ingrandimento di genere nel mondo del lavoro, con l’assoluta consapevolezza che la partita di contrasto alla violenza di genere si gioca soprattutto sull’individuazione dei nessi che la compongono.

Alcuni di questi nessi ci riguardano direttamente come Sindacato e sono quelli del ricatto economico, intorno al quale ruotano dinamiche che disegnano la geografia dentro i posti di lavoro: la progressiva gerarchizzazione, l’esercizio del potere sugli istituti di assenza, la dilatazione del tempo di lavoro a discapito del tempo di vita.

Tutti fenomeni che riguardano l’intera classe lavoratrice ma che impattano in maniera diversa tra uomini e donne per la differente disponibilità al tempo di lavoro e alla gestione del dovere di cura.

É qui che, dunque, il nesso del ricatto economico si fonde con la variabile invisibile: il lavoro gratuito connesso a un modello secolare che assegna “naturalmente” alle donne le attività di cura, addossando sulle loro spalle un doppio carico di lavoro, peggiorato da un modello di welfare familistico che supplisce alla progressiva dismissione dello Stato Sociale.

Il tutto in contesti lavorativi sempre più caratterizzati da dinamiche da “sfruttamento” cognitivo e da una competitività sfrenata a tutto vantaggio di una PA in piena mutazione genetica che trasforma persone in numeri e gli atti amministrativi in algoritmi.

In alcune regioni, come la Sicilia dai mille cantieri e dai treni a vapore, alle questioni economiche si sommano poi le questioni legate alla distanza casa - lavoro e alle acrobazie circensi per conciliare le condizioni logistiche col lavoro di cura, specie dei figli.

Il femminicidio di Giulia Cecchettin e la risposta della sua famiglia, in primis della sorella Elena, ha sovvertito la dinamica del dolore come dimensione intima e ha realizzato un cambio di paradigma, nel bene e nel male.

Nel bene, perché ha restituito al sentire collettivo il tema della rottura del silenzio e ha sdoganato nel linguaggio comune il grande rimosso - il patriarcato; nel male, perché per la teoria dei vasi comunicanti, se cresce una marea, cresce anche una risacca che agisce per banalizzare, invisibilizzare, bullizzare la ribellione.

Ci riferiamo a chi, per esempio, afferma che l’Italia è un Paese immune dal patriarcato o, peggio, pone in essere meccanismi di divisione nella classe lavoratrice e nella cittadinanza facendolo semplicisticamente passare come una “colpa collettiva degli uomini”. Nulla di più falso, strumentale e divisivo.

Ci riferiamo a chi diffonde immagini e narrazioni che confinano la donna a una dimensione di pura vittimizzazione, mettendo in pratica quello che le femministe combattono (la c.d. revittimizzazione secondaria) e invisibilizzando così il portato di rabbia e sete di libertà in grado di invertire le lancette della Storia e dare corpo a una vera rivoluzione culturale, non delegabile e non più rinviabile.

Ci riferiamo a chi abusando del suo ruolo, pratica costantemente e impunemente violenza verbale, tenta di intimidire le voci ribelli, derubrica a piagnisteo e lamentela la critica argomentata.

Noi vediamo, invece, la struttura piramidale di questa violenza che ha all’apice l’eliminazione fisica delle donne e delle persone LGBTQIA+, punte di un iceberg che affonda le radici nel concetto stesso di potere, nei modelli educativi e nei privilegi secolari intrisi dalla cultura del dominio, del possesso e della gerarchia dei ruoli.

Tutto questo avendo ben chiaro che essere donne non è in sé garanzia di nulla: se le donne, se le cape, se le dirigenti replicano dinamiche di dominio, gerarchia e ricatto forse raddrizzeranno il dato statistico sulla rottura del tetto di cristallo ma hanno per noi la valenza di una foglia di fico buona solo per mettersi in linea con le direttive europee in tema di parità di genere.

Tutto questo avendo ben chiaro, invece, che una vera rivoluzione culturale non può prescindere dall’alleanza con gli uomini, che sempre più comprendono che non si può fermare il vento con le mani: perché, quando diciamo che la colpa è del patriarcato non diciamo che la colpa è degli uomini ma del ruolo che questa società gli ha dato, fatto di privilegi secolari e posizioni di potere per loro e sottomissione per altr@.

Queste le dovute premesse di analisi di contesto per andare adesso a inquadrare le direttrici di azione che, come sindacato, proponiamo dentro e soprattutto oltre la dimensione retorica e il lava-coscienza del 25 novembre:

  1. Emersione e contrasto alla galassia di ricatti connessi alla dimensione economica e della cura: quella che passa dai meccanismi di valutazione e premialità distorti da sistemi fortemente intrisi di discrezionalità e dalla compressione degli istituti connessi alla cura e conciliazione cura- lavoro (es: lavoro agile, congedi, allattamento, caregiver);
  2. Istituzione, a livello cittadino, di sportelli di denuncia delle molestie e delle discriminazioni, aperti al momento a Catania (contattare il numero 3496759760) e a Palermo (contattare il numero 3205771666), in collaborazione con rete ISIDE, Non una di meno e il Consultorio autogestito mi cuerpo es mio;
  3. Organizzazione di corsi base di autodifesa;
  4. Lotta per istituzione asili aziendali;
  5. Aggiornamento dei documenti valutazione rischi e analisi delle statistiche sugli infortuni in itinere in chiave di genere e di distanza casa- lavoro.

Se la violenza di genere è un fenomeno che attraversa tutti gli ambiti dell’esistenza delle donne, allora bisogna mettere in campo risposte capaci di pensare una trasformazione radicale della società e delle relazioni, come anche delle condizioni di vita e lavoro a partire dall’adozione di pratiche di rottura dell’isolamento, di rivendicazione e di autodifesa.

In allegato gli approfondimenti della USB in materia di diseguaglianze economiche di genere e lavoro di cura non riconosciuto e il piano femminista. Non una di meno contro la violenza maschile sulle donne e la violenza di genere

USB PI Agenzie Fiscali Sicilia

Foto gentilmente concessa da Giordano Pennisi scattomancino@gmail.com