Tribunali e diritto alla carriera

Roma -

Un’ordinanza appena emessa dal Consiglio di Stato sospende gli effetti della sentenza n. 3007/2015 del TAR del Lazio che apriva a settecento colleghi ex B3 le porte della retrocessione giuridica ed economica dalla terza alla seconda area. Ciò consente di prendere tempo, auspicando che questo pasticcio trovi una soluzione definitiva o per via negoziale con l’interpretazione autentica del CCNL da noi sostenuta o per via parlamentare con una norma che non venga impallinata sul filo di lana da qualche cecchino di professione.

 

La riflessione che facciamo però è più ampia e riguarda quello che una volta era il diritto alla carriera. In questi anni abbiamo più volte denunciato e non sottoscritto accordi sindacali che aprivano le porte ai ricorsi legali e che di fatto indebolivano il diritto alla crescita professionale ed economica delle lavoratrici e dei lavoratori. Negli ultimi mesi, la magistratura ha evidenziato le contraddizioni e le debolezze di quegli accordi o, come nel caso degli incaricati, l’incostituzionalità delle scelte che l’amministrazione ha fatto in solitudine con il silenzio-assenso di alcuni sindacati.

 

Oggi quel diritto alla carriera non c’è più e anzi c’è la matematica certezza di vederlo smontato da ricorsi e sentenze. Altrettanto grave è il fatto che le lavoratrici e i lavoratori, sempre più spesso, non si riconoscono nelle scelte fatte da amministrazioni e sindacati e non si sentono rappresentati e tutelati nei loro diritti e nelle loro aspettative. Questo sentimento non ha sempre basi egoistiche tant’è che quasi sempre trova il sostegno dei giudici che hanno vita facile nello smontare accordi deboli sul piano giuridico e laceranti sul piano sindacale.

 

Ciò che sta accadendo oggi ai futuri (speriamo di no!) retrocessi ha origini lontane e risale a un accordo di ben dodici anni fa. Se la giustizia non avesse i suoi  tempi biblici alcuni accordi verrebbero smontati nel giro di pochi mesi. Solo la memoria corta salva chi ha firmato quegli accordi da una condanna senza appello da parte dei lavoratori, vittime a scoppio ritardato di scelte sbagliate. Qui le vittime sono coloro a cui è stato negato l’inquadramento in III area, ricorrenti e non e coloro che da otto anni svolgono con professionalità il loro lavoro, correndo il rischio – oggi solo sospeso - della retrocessione giuridica ed economica.

 

Allargando lo sguardo, ci sono altre vicende sulle quali l’amministrazione si ostina in posizioni incomprensibili. Ci sono gli idonei vincitori di concorsi – pubblici o interni – che chiedono solo di poter lavorare o di veder riconosciuta la loro crescita professionale dopo decenni di servizio. E ci sono gli accordi più recenti, come quello sulle progressioni economiche per tutti all’Agenzia delle Entrate, obiettivo che era a portata di mano con lo scorrimento delle graduatorie ancora valide. Amministrazione e sindacati, ancora una volta, hanno scelto la strada sbagliata esponendo anche questa volta migliaia di colleghi al rischio concreto che il loro futuro professionale e retributivo resti appeso per anni al filo dell’incertezza.

 

Dopo la vicenda degli incaricati, che in questi giorni si sta risolvendo con l’avvio di una procedura selettiva sulla quale è lecito esprimere qualche dubbio (sarà interessante confrontare la lista dei vecchi incarichi con l’elenco delle nuove nomine…) l’amministrazione dovrebbe fare un bagno di umiltà, ammettere i propri errori ed evitarne altri. L’ordinanza sospensiva del Consiglio di Stato è l’occasione per inquadrare in terza area tutti i vincitori in base alla graduatoria del bando concorsuale. Nel frattempo si trovi una soluzione definitiva per gli ex B3 che non può essere la parziale salvaguardia retributiva partorita ad agosto. USB torna a chiedere con forza all’amministrazione l’inquadramento di tutti gli idonei vincitori di concorsi, interni ed esterni perché il diritto al lavoro e agli sviluppi professionali torni ad essere un diritto di tutti e per tutti, una conquista sindacale e non una materia da aula di tribunale. Sono in gioco i diritti fondamentali delle persone ma è in gioco anche la credibilità di amministrazione e Sindacato. Con la S maiuscola.

 

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