Vedi alla voce: alta velocità. Tutto quello che avreste voluto sapere sulla più grande mina vagante per i conti pubblici del Paese...
Scavando... abbiamo ritrovato una inquietante inchiesta tratta dal settimanale "Diario" dell 11.06.2004, a firma Alberto Giostra
Assorbiti dalle disavventure finanziarie della Fiat prima, di Cirio, Parmalat e Alitalia poi, ci siamo dimenticati della più grande mina vagante dei conti pubblici del nostro Paese: il treno ad alta velocità. Terminati i lavori costerà circa 80 miliardi di euro e la collettività ne pagherà i debiti fino al 2040, al ritmo di 2 miliardi e 300 milioni di euro l’anno. Nato da una costola della madre di tutte le tangenti, lo scandalo Enimont, tra interessate distrazioni e complicità, è sopravvissuto alla crisi del 1992, a Mani pulite e alla più massiccia ondata di privatizzazioni d’Europa. E infine a se stesso, ovvero alla caduta della bugia che lo ha sorretto dall’inizio: che si trattasse di un’opera finanziata al 60 per cento dai privati. Ormai nemmeno alla Tav negano che l’opera sarà tutta a carico dello Stato, ovvero di Infrastrutture spa, mentre le maggiori imprese di costruzione del Paese lucreranno per molti anni ancora vantaggi economici ingiustificabili. Secondo i giudici perugini è la Tangentopoli 2, ma quali siano i corrotti e i corruttori è ancora da chiarire. Il maxiprocesso di Perugia, che raccoglie indagini iniziate a La Spezia nel 1996 e che dovrà rispondere a questa domanda, procede assai lentamente.
Acqua. I lavori della tratta Firenze-Bologna, che prevedono l’apertura di una galleria di 73 km con relative gallerie di servizio, hanno finora provocato la perdita di 73 milioni di metri cubi di acqua di falda (settembre 2003). Attualmente le perdite ammontano a 700 litri di acqua al secondo. La Procura di Firenze ha chiesto il rinvio a giudizio di 63 persone per aver danneggiato 24 corsi d’acqua con scarichi di sostanze tossiche e per averne depauperato o essicato il corso in modo anche irreversibile. Di questi 63, 16 sono tecnici del Consorzio Cavet, titolare dei lavori della tratta e composto dalle aziende Impregilo, Fiat Engineering, Consorzio ravennate di Produzione e lavoro e Cooperativa muratori e cementisti. Secondo la Procura i responsabili dei lavori non hanno fatto approfonditi studi idrogeologici, hanno omesso di sospendere i lavori una volta avvertita la gravità dei problemi e non hanno monitorato i corsi d’acqua inviando alle autorità le risultanze. Notevoli preoccupazioni sorgono ora in relazione all’attraversamento sotterraneo delle città di Firenze e Bologna.
Amato Giuliano. La sua Finanziaria del 1993 elargì 9 mila miliardi di lire alla Tav. Per evitare che, trascorso il termine del 31 dicembre 1992, si facessero gare internazionali (V.) tre suoi ministri – Barucci, Reviglio e Tesini – si riunirono d’urgenza il 29 dicembre, attribuendo senza gare tutti i lavori. Il ministro del Bilancio Reviglio puntò i piedi ottenendo almeno una gara per la Milano-Torino, l’unica non ancora appaltata. Per la Fiat significava rischiare di perdere 3 mila miliardi. Il 2.2.93 Gianni Agnelli chiamò al telefono Amato. Parlarono 20 minuti. Amato resistette alle richieste di Agnelli. Ma il governo Amato cadde e quella gara non si fece mai. Amato diventò poi presidente dell’Antitrust e, chiamato a giudicare l’architettura societaria della Tav, il 10 gennaio 1996 si liberò della questione con due righe di testo: l’indagine conoscitiva sulla Tav è chiusa; è tutto a posto. Nel novembre 2000 il suo Governo introdusse finalmente le gare europee nelle tratte non ancora appaltate.
Anatomia. 888 km la lunghezza delle linee veloci; 254 km già in esercizio e da adeguare (Roma-Firenze); 634 in realizzazione (To-Mi, Mi-Bo, Bo-Fi, Ro-Na); 143 km le nuove gallerie di linea; 491 i nuovi viadotti, i ponti, le trincee e i rilevati; 58 km le 15 nuove interconnessioni; 7 regioni attraversate; 18 province attraversate; 150 i comuni attraversati (esclusi quelli sulla Roma-Firenze); 228 km le barriere antirumore; 280 di nuove strade al servizio dei cantieri; 1.664 ettari di interventi a verde.
Aricò Natale. Controllore della Corte dei conti. Nel 1995, mentre l’organo supremo della magistratura contabile si stava occupando della Tav, venne cooptato da Necci ai vertici di Metropolis, la società immobiliare delle Fs.
Bond-Tav. Il prestito di 5 miliardi di euro lanciato lo scorso gennaio da Infrastrutture spa, per il finanziamento dell’Alta velocità.
Camorra, penetrazione della. È l’ex giudice Ferdinando Imposimato a denunciare in una relazione per la Commissione parlamentare antimafia che la camorra campana aveva messo le mani sui lavori della tratta Tav Roma-Napoli e su 10 mila miliardi di lire. È il 27 luglio 1995. Secondo Imposimato la torta sarebbe stata divisa per sei decimi tra i partiti, tutti meno Rifondazione e Lega, mentre i rimanenti quattro decimi erano per camorristi, mafiosi, affaristi e faccendieri. La camorra penetrò attraverso i subappalti avuti da Icla e dalla Società Condotte dell’Iri, con la fornitura di materiali e il noleggio di autoveicoli, estorcendo danaro in cambio di tranquillità e nascondendosi dietro aziende decotte per riciclare danaro sporco. Un ruolo importante lo rivestì anche la società Calcestruzzi di Ravenna caduta in mano alla mafia siciliana. La relazione di Imposimato non fu mai né discussa né votata dalla Commissione. Le indagini della Dda napoletana il 18 marzo 2003 hanno prodotto 6 condanne e 14 assoluzioni. Tra i condannati i boss camorristi Pasquale e Antonio Zagaria, titolari della Edilmoter, società legata alla Icla. Il 13 giugno 2003 130 uomini delle forze dell’ordine hanno ispezionato i cantieri Tav della Roma-Napoli. Sono state identificate 300 persone molte delle quali con precedenti penali e il sospetto che il clan camorristico dei Moccia controlli i subappalti sta avendo delle conferme.
Castellucci Giorgio. Sostituto procuratore della Procura di Roma. Fu il primo magistrato ad aprire un fascicolo giudiziario sulla Tav in seguito alla denuncia di Luigi Preti della primavera 1993. Si accordò con Antonio Di Pietro per dividere l’inchiesta: a Roma quella sulle procedure di costituzione della Tav, a Milano quella sulle tangenti negli appalti dell’Alta Velocità. L’inchiesta di Di Pietro restò nel cassetto dopo la sua uscita dalla magistratura mentre Castellucci proseguirà con tempi e modi particolari. Nel dicembre 1993 chiese una proroga alle indagini. Il gip Augusta Iannini gliela concesse disponendo l’iscrizione sul registro degli indagati di Ercole Incalza e Emilio Maraini. Castellucci rifiutò e mantenne il procedimento a carico di ignoti. L’8 luglio 1994 chiese l’archiviazione dell’esposto di Preti, ma il gip Iannini respinse la richiesta. Il 5 maggio 1995 reiterò la richiesta di archiviazione ma il 23 dicembre il reggente dei gip, Carlo Sarzana, dispose un’ulteriore proroga delle indagini. Castellucci si decise a iscrivere nel registro degli indagati Incalza e Maraini, ma poi tornò alla carica e il 17 febbraio 1996 chiese una nuova archiviazione. Il 25 marzo Sarzana dispose invece il rinvio a giudizio dei due manager. Sei mesi dopo Castellucci finì nei guai, accusato di aver percepito soldi per far archiviare l’inchiesta: è ora sotto processo a Perugia.
Cirino Pomicino Paolo. L’autore dell’architettura economico-finanziaria della Tav. Dopo aver coinvolto Fiat, Iri e Eni, 21 banche e le maggiori imprese di costruzioni, si dovette a lui, allora ministro del Bilancio, la prima grande bugia, che la Tav fosse un affare privato. Così si potè affidare a trattativa privata l’incarico ai General Contractor (V.), altra invenzione pomiciniana. Poi ‘O Ministro ricicciò la «concessione di sola costruzione» e la «concessione di sola progettazione e costruzione» (V.) utilizzate nella ricostruzione post terremoto in Campania e con cui Tav affidò i lavori a Fiat, Iri e Eni e questi a loro volta affidarono gli appalti ai sette consorzi. Secondo le norme europee le concessioni erano appalti e ci sarebbe voluta una gara, ma non per Pomicino & C. L’invenzione assoluta il ministro del Bilancio la partorisce quando si tratta di scegliere il contratto tra Fs e Tav coniando la «concessione per lo sfruttamento economico» (V. alla voce Tav).
Comitato dei nodi e aree metropolitane. Una delle due authority inventate da Necci il 23.1.1992. Ne facevano parte Susanna Agnelli (in evidente conflitto di interessi essendo la Fiat General Contractor Tav) Carlo Maria Guerci, Giuseppe De Rita e Renzo Piano. L’altra era il Garante dell’Alta Velocità, impersonata da Romano Prodi per soli tre mesi. Le due trovate di Necci furono contestate dal collegio dei revisori dei conti Fs per il costo: 9 miliardi di lire.
Concessione di costruzione e progettazione. È il cuore delle discusse soluzioni contrattuali su cui è cresciuto l’affare Tav e costituisce un’anomalia tutta italiana, estranea a ogni normativa e logica di mercato. Viene sperimentata da Cirino Pomicino (V.) in Campania e codificata dalla legge 80/1987 voluta da Claudio Signorile, legge poi condannata dalla Corte europea di Giustizia. Con la giustificazione dell’urgenza ed eccezionalità delle opere, il concessionario, a differenza di quanto accade nei normali appalti, gode di funzioni proprie del committente pubblico: direzione dei lavori, espropri, progettazioni. Tutto meno la gestione dell’opera che è invece la peculiarità dei contratti di concessione tradizionali e grazie alla quale l’impresa recupera i soldi spesi per la costruzione. Insomma si tratta di appalti mascherati: le imprese hanno poteri pubblici e non sono sottoposte ai controlli ad esempio di un direttore dei lavori espresso dalla Pubblica amministrazione. Risultato: qualità scadente e costi altissimi. Questo perché quando un’impresa deve recuperare con la gestione quello che ha speso nella costruzione ha tutto l’interesse nel far bene i lavori e nel farli costare il meno possibile. Nell’affare alta velocità le concessioni di sola costruzione e progettazione regolano i rapporti tra la Tav spa e i General Contractors (V.) mentre tra le Fs e la Tav spa vige una concessione di sola costruzione.
Costi. Quando il treno ad alta velocità fu presentato, il 7 agosto 1991, il costo previsto era di 26.180 miliardi di lire. Poi iniziò l’escalation dei costi. Le tratte (dati Tav) sono passate dai 9.254 milioni di euro del 1991 a 23.241. I nodi ovvero le nuove stazioni da 1.063 a 3.460. Aumenti oscillanti tra il 300 e il 400 per cento. Ma secondo l’Istituto Qua.s.co. le cose stanno assai peggio e per le tratte si prevede una spesa di 41.050 milioni di euro e per i nodi di 7.670. A questi vanno aggiunti 2.660 milioni per le infrastrutture aeree, 6.390 per il materiale rotabile, 9.450 di costi diretti Fs, Tav, Italferr, 2.300 di opere indotte e 8.690 di interessi intercalari (V.). Totale 78.210 milioni di euro: 151.435.676 miliardi delle vecchie lire. Un aumento del 525 per cento.
Crisci Giorgio. Ex presidente del Consiglio di Stato. Era in carica quando il 1 ottobre 1993 il Consiglio di Stato, a proposito di Tav si pronunciò sulle procedure e i tempi di entrata in vigore delle direttive europee sugli appalti. Il Consiglio di Stato in seduta plenaria prese per buone tutte le informazioni fornite da Fs a partire dal falso storico per cui la maggioranza della Tav era privata. Crisci insieme ad altri membri del Consiglio era stato collaudatore delle Fs, generosamente remunerato. Nel 1994 Berlusconi lo volle nel collegio dei tre saggi che doveva risolvere il suo conflitto d’interessi. Nel 1995 venne nominato da Dini presidente delle Fs spa.
Firenze-Bologna. La tratta più difficile. 78,5 chilometri di cui 73,3 in galleria. Doveva essere terminata nel 2003, non lo sarà prima del 2008. L’impatto ambientale nella zona del Mugello ovvero Monte Morello, il Giogo, Sasso di Castro, la conca di Firenzuola, la colla di Casaglia, Monte Beni, tutti siti di importanza comunitaria, è stato devastante e con conseguenze idrogeologiche irreversibili (V. Acqua). Gli abitanti, rimasti senz’acqua, hanno dovuto far ricorso alle autobotti e lamentano danni anche all’agricoltura e alla zootecnia. A ciò vanno aggiunti i rischi che corrono le meravigliose tombe etrusche di Sesto Fiorentino. Il progetto iniziale della tratta risale al 1995, nel 1997 è stato modificato ma la Valutazione d’impatto ambientale non è stata rifatta. Non è l’unica irregolarità tecnica e amministrativa. La galleria di soccorso non esiste e addirittura Aurelio Misiti si è rifiutato di firmare il collaudo. Le Autorità di Bacino, i servizi di Protezione civile sono stati esclusi dalla consultazione e dall’approvazione del progetto e la Asl 10 di Firenze lo è stata dalla Conferenza dei servizi. I Comuni del Mugello recalcitranti sono stati «minacciati» di perdita delle opere di compensazione e i sindaci hanno accettato i tracciati contro il parere dei Consigli comunali. Nell’Osservatorio ambientale nazionale (organo di controllo) il rappresentante della Toscana è il dirigente responsabile del Servizio infrastrutture della Regione Toscana che ha firmato la deliberazione di approvazione del progetto esecutivo Tav Firenze-Bologna (Del. n. 03884 del 24/07/1995). Controllore e controllato coincidono. Contro la previsione di legge non è stato stilato il bilancio idrico del bacino dell’Arno, ossia il confronto tra la quantità di acqua esistente nel bacino e la quantità di prelievi effettuati per i diversi usi. C’è poi la questione del Nodo di Firenze: da brivido le prospettive per il capoluogo toscano: il treno ad alta velocità le passerà nel ventre con un tunnel di sette chilometri. Oltre 1.700.000 metri cubi di inerti, 300.000 metri cubi di sabbia, 265.000 tonnellate di cemento, 110.000 tonnellate di acciaio, 372.000 tonnellate di conci prefabbricati stanno per piovere addosso alla città di Brunelleschi. I materiali di risulta da portare a discarica ammonteranno a oltre 3.800.000 metri cubi di smarino, oltre a 145.000 metri cubi provenienti da demolizioni. Per i cantieri saranno consumati 6.912.000 litri d’acqua al giorno da attingere alle falde locali. 170 edifici e la Fortezza da Basso a rischio cedimenti, una scuola demolita e tre trasferite. Il tunnel tagliando la falda locale provocherà un effetto diga con allagamenti di scantinati e fenomeni di subsidenza. L’assessore all’Ambiente della Regione Toscana ha dichiarato il 24 luglio 2002: «Nei due anni di scavo che ancora ci saranno, ci aspettano dei problemi molto gravi di impatti inevitabili e non mitigabili nella realizzazione della galleria». Se lo dice lui.
Gare europee. Sono le grandi assenti. Se si fossero fatte la Tav sarebbe costata la metà. In Spagna, con le gare europee, un chilometro di alta velocità nel 1993 costava 9,5 miliardi di lire, in Italia 26 miliardi, senza contare le stazioni, il materiale rotabile e le infrastrutture aeree. La vicenda delle gare europee comincia nel 1992 con il governo Amato (V. Amato). Reviglio e Tesini il 3 marzo 1993 si rivolsero all’Antitrust e al Consiglio di Stato che però diedero pareri favorevoli ai contratti assegnati senza gara. I successivi governi Ciampi, Berlusconi I e Prodi non faranno nulla per introdurre le gare europee. Fino all’Amato II che, grazie al ministro Bersani, stracciò gli appalti già affidati senza gara nelle tratte Milano-Genova e Milano-Verona per un totale di 10 mila miliardi di lire e bandì gare europee. La decisione produsse subito un risultato eccezionale: la gara bandita per il nodo di Bologna fu vinta da un’impresa spagnola con un ribasso del 50 per cento. La decisione del governo Amato provocò molti malumori. In aula l’Udeur di Mastella, che faceva parte della maggioranza, votò contro e il governo Berlusconi II rimise le cose a posto. Con l’art.10 della Finanziaria 2003 si ristabilì la situazione degli appalti così com’era nel 1992, evitando gare europee. L’art.10 è stato approvato nonostante il presidente dell’Antitrust Tesauro avesse giudicato l’abrogazione delle gare europee non conforme alle normative comunitarie. Tra le società escluse dal governo Amato c’era, tra le altre, l’impresa dell’europarlamentare di Forza Italia Luisa Todini. Le 32 imprese raggruppate nei 7 consorzi hanno ottenuto gli appalti nel 1992 senza gara e senza applicare ribassi, ma per assegnare le decine di appalti ad altre ditte hanno indetto delle gare e ottenuto da queste ribassi notevoli.
General Contractor. La più recente arma di distruzione di massa dei conti pubblici. Il G.C. venne inaugurato proprio con la Tav e rappresenta la peggiore soluzione possibile per i lavori pubblici, al punto che il governo Berlusconi l’ha prontamente adottato con la legge obiettivo. Il G.C. è un concessionario con l’esclusione della gestione ed è una soluzione tecnica che favorisce le imprese e svantaggia il committente pubblico perché il G.C. ha tutti i poteri del committente pubblico nella gestione dei subappalti, nella direzione dei lavori, negli espropri ecc. ma non ha poi la gestione diretta dell’opera e dunque non ha nessun interesse a far bene i lavori e a spendere il meno possibile per recuperare più in fretta possibile i soldi spesi. Pomicino aveva teorizzato e messo in pratica questo metodo con le concessioni di sola committenza, con le quali l’impresa era retribuita con una percentuale del costo finale dell’opera, tra il 17 e il 25 per cento. Per cui più l’opera costava più l’impresa guadagnava. Questa percentuale con la legge obiettivo è stata portata al 100 per cento. Gli effetti sui conti pubblici li avvertiremo nei prossimi anni.
Incalza Ercole. Ex presidente della Tav ed ex direttore generale del ministero dei Trasporti. Attuale consulente del ministro Lunardi, secondo De Michelis è il più importante tecnico italiano dei trasporti. Già implicato negli scandali delle opere fantasma di Italia 90, il 7.2.1998 fu arrestato su mandato dei giudici di Perugia. Accusato di concorso in corruzione insieme a Necci (V.), Pacini Battaglia (V.), Maraini (V.) avrebbe corrotto l’ex capo dei gip di Roma Squillante e il pm Giorgio Castellucci (V.) che dovevano indagare sulla Tav, Incalza e Maraini hanno affidato per quattro anni consulenze miliardarie a tre avvocati amici di Castellucci: Di Amato, Grollino e Petrelli. Secondo i giudici Incalza faceva parte integrante di quella «struttura bene organizzata composta da manager pubblici e privati» che manipolava gli appalti per «creare fondi extracontabili per erogare tangenti verso il potere politico che quei vertici avevano sponsorizzato e verso gli stessi amministratori pubblici per garantire il loro illecito arricchimento». Insomma il sistema Tav come, secondo i giudici, fu ideato da Necci e Pacini.
Interessi intercalari. Sono gli interessi che lo Stato sta già pagando ogni anno e che continuerà a pagare fino a quando la Tav non entrerà in funzione. Si tratta di interessi su prestiti che la Tav ha avuto dalle banche e dalla Cassa Depositi e Prestiti a tassi il cui importo si conosce solo per la Cassa Depositi e Prestiti (5,5 per cento) ma che è sconosciuto per i prestiti avuti dalla Bei o dal San Paolo di Torino. La spesa prevista per gli i.i. nel 1991 era di 770.000.000 euro. Nel 2010, quando (forse) i lavori Tav saranno ultimati, avremo pagato 8.690.000.000 euro, una spesa undici volte superiore.
Lavoratori. Nel dicembre 2003 erano 13.779. Lavorano a ciclo continuo, ovvero 24 ore su 24 in squadre composte da sei operai. I turni possono impegnarli anche 48 ore di seguito e la pausa mensa non è conteggiata nelle ore giornaliere di lavoro. Le condizioni di lavoro sono usuranti: in galleria si respira male, l’aria è inquinata, l’illuminazione scarsa, i rischi molti. Vivono in prefabbricati privi di comfort e di intimità, in camerate e con docce comuni. La maggioranza di loro viene dal Sud e vive lontano dalle proprie famiglie. Ma soprattutto nei cantieri Tav si muore: l’1.2.03 al Careggi di Firenze è spirato Giovanni Damiano, 42 anni, di Benevento, padre di due figli. È solo l’ultimo in ordine di tempo. Il 31.1.00, nel tunnel di Vaglia (Fi), al Carlone, moriva Pasquale Costanzo, 23 anni, elettricista di Petilia Policastro. Il 26.6.00, moriva a Ponte Nuovo a Calenzano (Fi) Giorgio Larcianelli, camionista, 53 anni, di Scandicci. L’1.9.00 moriva nella galleria di Monghidoro Pietro Giampaolo, 58 anni, di Chieti, schiacciato dalle ruote di un camion. Il 5.1.01 moriva Pasquale Adamo, 55 anni, di Quarto (Na), sposato e padre di tre figli, stritolato dalla coclea di un posizionatore nella galleria di Monte Morello. Tutti operai dei cantieri Cavet della Fi-Bo. Il 29.11.01 la prima vittima della tratta Milano-Bologna: nel cantiere Cepav nei pressi di Campogalliano, è morto Francesco Minervino, 57 anni, travolto da un’escavatrice. Poi il 26.1.04 è morto Biagio Paglia, travolto da una ruspa a Lesignana di Modena. Il 19.4.04 è toccato a Kristian Hauber e il 10 maggio scorso Mario Laurenza, un carpentiere campano di 37 anni, è rimasto folgorato in un cantiere di Castelfranco Emilia.
Lodigiani Vincenzo. Costruttore, nome storico di Tangentopoli. Finisce sotto inchiesta per la Tav nel filone milanese delle indagini. Di Pietro viene in possesso nel 1993 della cosiddetta agenda «Paparusso», dal nome del centravanti della Lodigiani, la squadra del costruttore. In quell’agenda c’è l’elenco delle mazzette che gli imprenditori dovevano pagare per entrare nel giro degli appalti ferroviari. 1.510 milioni era la richiesta del Dc Citaristi, 1.020 quella del socialista Balzamo, 500 quella delle Cooperative Rosse da destinare al Pds. Ma erano previsti pagamenti anche ai ministri Bernini e Cirino Pomicino, al membro dc della Commissione Trasporti della Camera Cesare Cursi (125 milioni) e ai partiti minori, Msi compreso. Secondo L. questi soldi però non sono mai stati effettivamente dati. L. riferisce a Di Pietro anche delle mazzette date alla Cisl e alla Uil. 450 milioni a D’Antoni (che lo ha querelato vincendo la causa a Roma e vedendosela archiviare a Milano) e 350 alla Uil sotto forma di pubblicità sulla rivista Lavoro, circostanza che verrà negata da Giorgio Benvenuto. In cambio L. avrebbe chiesto di non creare problemi sindacali nei cantieri Tav. L. è tuttora sotto processo a Perugia. Il pm Vinci, poi deceduto, aveva indagato e prosciolto L. nell’inchiesta sui palazzi d’oro della capitale e per le sue indagini, secondo l’accusa, volutamente superficiali, fu rinviato a giudizio a Perugia. Vinci attraverso gli appunti di L. si sarebbe dovuto accorgere dei suoi rapporti con il banchiere Pacini Battaglia (l’annotazione «Karfinco 8000T Pappalardo» si riferiva al conto Timor Overseas Corp della Karfinco di Pacini), e della congerie di riferimenti all’Alta Velocità e a Necci. Vinci si difese addossando alla Procura di Milano l’insabbiamento delle indagini. Ma Pacini Battaglia è stato arrestato il 22.1.1998 su ordine della magistratura milanese per le tangenti per lo scalo Tav Fiorenza. E a Milano si è celebrato il processo. In primo grado, il 16.5.2000, L. e Necci sono stati condannati per corruzione a cinque anni di reclusione, Pacini Battaglia a quattro anni e tre mesi. Nel processo d’appello il 4.10.2001, le condanne sono state confermate ma le pene attenuate: tre anni a L., tre anni e due mesi a Necci, tre anni e tre mesi a Pacini Battaglia. Il 4.4.2003 la Cassazione ordina la ripetizione del processo a L. Necci è invece riconosciuto colpevole, ma la Suprema Corte chiede al Tribunale d’appello di attenuare la condanna a 3 anni e due mesi di carcere. La Lodigiani è stata acquistata dalla Impregilo.
Maraini Emilio. Numero uno della Italfer, la società incaricata dell’Alta Vigilanza sulla Tav. Insieme a Incalza era il dirigente Fs più vicino a Necci. «Il Munifico» lo nominò nel 1993 nonostante avesse due rinvii a giudizio a Napoli e Milano e fosse indagato a Roma. M. era stato arrestato nel 1993 dal pool Mani pulite e nel corso degli interrogatori aveva ammesso pagamenti di tangenti come amministratore delegato di Ansaldo Trasporti per partecipare ai lavori della metropolitana di Roma e per quella leggera di Milano. È stato nuovamente arrestato il 7.2.1998 per ordine dei magistrati di Perugia.
Necci Lorenzo. Il padre della Tav. Ex amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato e prima ancora presidente Enimont, Lorenzo «Il Munifico» Necci ha avuto persistenti rapporti con la politica. Per anni nella direzione del Pri, poi legato ad Andreotti, attualmente milita nel Nuovo Psi di De Michelis. Necci è stato in corsa per diventare ministro nel naufragato governissimo Maccanico del 1996, ma era così utile alle Fs, che Fiat e Mediobanca posero un veto alla sua nomina per salvaguardare i 9 mila miliardi investiti nei lavori Tav. Il regno di questo potente boiardo di Stato finì il 15.9.1996 quando fu arrestato dai giudici spezzini. Un’inchiesta nata per caso indagando su un autoparco della mafia prima e su un traffico di armi poi e che vedeva coinvolto Pacini Battaglia. Il cuore dell’affare alta velocità è infatti il legame di Necci con il banchiere di Bientina dal quale riceveva 20 milioni al mese in nero prelevati da un conto doubleface con il quale Pacini pagava anche la domestica. Un prestito amichevole per pagare una casa a Parigi e un terreno a Tarquinia, ha detto Necci. Una spiegazione che non regge, per i giudici. Secondo i magistrati il sistema Necci-Pacini si metteva in moto in occasione di ogni appalto ferroviario, immettendo le tangenti raccolte in un complicato giro di conti bancari riconducibile a società offshore, soldi infine utilizzati per pagare i magistrati romani del cosiddetto «presidio giudiziario» che insabbiavano le inchieste su di loro o pubblici ufficiali come il maresciallo D’Agostino e il capitano della Guardia di Finanza Floriani. Il sistema Necci-Pacini, altrimenti detto «Tangentopoli 2», era diverso dalla Tangentopoli 1 in due punti: erano coinvolte non solo una ma tutte le maggiori imprese del Paese e per schivare il reato di corruzione e far schizzare in alto i ricavi, fu coniata la madre di tutte le bugie, che la Tav fosse un affare privato (V. alla voce Tav). Necci si è sempre dichiarato estraneo alla presunta associazione a delinquere contestatagli dai giudici e dice di essere stato assolto 42 volte. Non è vero: il 4.4.03 ha subìto una condanna definitiva per corruzione nel processo per lo scalo Tav Fiorenza (V. Lodigiani). Il 12.3.1992 infatti Necci percepì a Parigi la tangente Derwood di un miliardo e cinquecento milioni proveniente dalla Svizzera. «Sono figlio di ferrovieri», dichiarò nel 1999 Necci «e volevo portare avanti un progetto per il quale pensavo che mio padre sarebbe stato contento».
Nomisma. Società bolognese fondata da Romano Prodi indagata dal pm Geremia di Roma per aver ricevuto nel 1992 dalle Fs una consulenza miliardaria sull’Alta Velocità. Nei 39 volumi si potevano leggere frasi del tipo «il beneficio dell’alta velocità è la velocità» o «la velocità consente di risparmiare tempo». L’inchiesta della Geremia è stata archiviata.
Pacini Battaglia Pierfrancesco. Detto Chicchi, finanziere italo-svizzero. Insieme a Necci, Pacini è il grande manovratore del sodalizio d’affari che ha sorretto la Tav. «In qualche modo P.B. ha svolto il ruolo più importante dell’associazione di predatori. È riuscito ad assicurare ai suoi complici disponibilità economiche assolutamente riservate all’estero. Ha mosso una mole enorme di denaro. Ha ostacolato ogni possibile ricostruzione della provenienza del denaro. Ha custodito il denaro e lo ha smistato su fondi fuori contabilità per destinarlo al pagamento di funzionari pubblici e al finanziamento illecito dei partiti» (Imposimato, Pisauro, Provvisionato, Corruzione ad alta velocità, Koinè). L’inchiesta sulla Tav nacque a Firenze e La Spezia quando i pm Cardino e Franz indagando su un traffico di armi misero sotto controllo i telefoni di P.B : dai colloqui con la segretaria Eliana Pensieroso e con l’ex Dc e piduista Emo Danesi, emersero smistamenti di denaro di P. B. oltreché a Necci anche a magistrati e avvocati romani. Secondo i magistrati di Perugia che hanno ereditato le indagini, P.B. «l’uomo un gradino sotto dio» avrebbe ideato un unico disegno criminoso che si sviluppò dalla fine degli anni Ottanta fino al biennio 1996-97, unendo le vicende dei fondi neri dell’Eni, le tangenti ai partiti politici, gli appalti per i grandi progetti ferroviari e la corruzione di magistrati romani. È la Tangentopoli 2 alla sbarra a Perugia. L’associazione descritta dal pm Della Monica vede Pacini e Necci «attivi» fin dagli anni Ottanta a costituire provviste di denaro illecite. Necci dopo aver lasciato l’Enimont per passare alle Ferrovie, avrebbe continuato a operare con Pacini e gli altri presunti componenti dell’associazione a delinquere. I progetti Tav sarebbero stati il nuovo campo d’azione della lobby.
Portaluri Salvatore. Presidente Tav dal 1991 al 1993. Fu costretto a dimettersi da Necci per l’ostilità nei suoi confronti di Mediobanca, Imi, Banca di Roma e San Paolo di Torino che premevano per avere più consulenze. Portaluri voleva annullare i contratti con i general contractor Iri, Eni e Fiat, per indire gare europee e abbassare i costi e Mediobanca temeva che Portaluri favorisse consorzi stranieri. Portaluri voleva annullare anche i contratti con la Italferr di Maraini (V.) perché arrestato due volte.
Preti Luigi. Ex ministro Psdi nella primavera del 1993 inoltrò un esposto alla Procura di Roma nel quale denunciava le procedure seguite per la costituzione della Tav spa. Preti fu il primo ad accorgersi dei lati oscuri della Tav. L’inchiesta venne affidata al pm Giorgio Castellucci (V.).
Tav spa. La storia della Tav spa comincia il 7 agosto 1991. Nacque pronunciando un’enorme bugia, quella che i 100 miliardi di lire del suo capitale fossero al 60 per cento capitale privato e al 40 per cento pubblico. Non era vero, erano tutti pubblici. Le 21 banche presenti erano quasi tutte pubbliche e le private arrivavano al 10 per cento del capitale. La maggioranza assoluta era delle Fs, le quali detenevano il 45 per cento delle quote più il 5,5 per cento attraverso la Banca Nazionale delle Comunicazioni, la banca delle Fs. Dalla madre di tutte le bugie Tav scaturì la possibilità di affidare la costruzione delle infrastrutture a dei general contractor (V.) mediante trattativa privata. Di seguito venne propalata l’altra grande bugia, che l’opera verrà finanziata sempre al 60 per cento da capitali privati. Invece fu lo Stato a garantire «il finanziamento del 40 per cento in conto capitale, mentre il 60 per cento doveva essere ricercato sul mercato dei capitali con prestiti che ovviamente dovevano essere restituiti con interessi di mercato; poco importava anzi bastava tenere riservato il fatto che gli interessi fino alla realizzazione dell’opera dovevano essere pagati dallo Stato così come la restituzione dei prestiti doveva essere garantita dalle stesse Fs e dallo Stato» (I. Cicconi, La storia del futuro di Tangentopoli, pag.188). Nacque poi il problema di legare Fs e Tav. Le Fs dovevano finanziare solo il 40 per cento dell’opera per cui la Tav con un contratto di concessione di gestione poteva rientrare del 60 per cento sborsato privatamente tramite gli incassi della gestione. Ma per rientrare dei soldi spesi Tav avrebbe impiegato almeno 350 anni. Allora venne coniata la «concessione per lo sfruttamento economico» per giustificare il trasferimento di risorse dallo Stato alle Fs. Un trasferimento impossibile: negli accordi di programma non viene mai detto come i privati dovevano finanziare il 60 per cento né come lo avrebbero recuperato. Di fronte a questi silenzi, Eni e Iri, due dei tre general contractor, si fanno da parte, indicando delle loro società collegate, Snam e Iritecna mentre il terzo, la Fiat, firmò all’ultimo momento, il 15 settembre, solo quando ebbe la certezza della copertura da parte dello Stato. Nel dicembre 1991 vennero firmati i contratti tra Tav e i consorzi, Cepav uno e due, Iricav uno e due, Cavet, Cociv, Cavtomi, accordi di massima con una sola certezza: «Tav spa paga il 100 per cento dei costi previsti nei contratti, nessun rischio è a carico degli imprenditori» (Cicconi, op. cit., pag. 192). Il capolavoro è fatto. L’Italia potè rispettare il parametro di Maastricht che impone al 3 per cento il rapporto tra deficit e Pil ed entrare trionfalmente in Europa. Il 10.3.1998 cadde la maschera: le Fs acquisirono il 100 per cento di Tav spa e dal 1.1.2003 la Tav è entrata nell’orbita della società Infrastrutture spa con azionista unico la Cassa Depositi e Prestiti. Infrastrutture si accolla quel 60 per cento finto privato e trasforma in capitale sociale il 40 per cento pubblico, allungando al 2061 la concessione alla Tav. Lo Stato continuerà a coprire la quota relativa agli interessi intercalari fino alla conclusione dei lavori; quando la Tav funzionerà il debito sarà coperto, sia per la quota relativa agli interessi che per quella relativa al capitale, dai proventi dello sfruttamento economico. Lo Stato si farà carico anche di integrare quella parte del debito che i proventi non riusciranno a coprire (50 per cento. Appena Infrastrutture spa sarà operativa, Tav sarà finanziata con il collocamento della prima emissione obbligazionaria.
Tempi di percorrenza. Quando i treni andranno a 300 km. all’ora da Roma a Milano si impiegheranno 3 ore anziché 4 ore e mezzo; da Torino a Napoli 5 ore contro le 9 attuali. Se la stragrande maggioranza degli utenti viaggiasse lungo queste tratte la Tav potrebbe essere davvero vantaggiosa. Purtroppo l’80 per cento dei passeggeri effettua trasferte inferiori ai 100 km. In nessun Paese del mondo l’Alta Velocità ferroviaria è stata un affare. In Francia e in Giappone i treni superveloci hanno devastato i bilanci delle aziende ferroviarie, portando al fallimento quella nipponica.
Tempi di realizzazione. Secondo il sito ufficiale della Tav la Torino-Milano sarà pronta nel 2008, la Firenze-Milano entro il 2007 e la Roma-Napoli per il 2005. Pochi sono disposti a credere a queste previsioni. Non ci crede nemmeno Aurelio Misiti, che di lavori pubblici se ne intende e dopo aver ammesso che il progetto della Firenze-Bologna«non era fatto bene all’inizio» ha aggiunto: «Non credo che siamo alla fine del percorso. Siamo al 55 per cento del lavoro. Otto anni fa si è cominciato: ci sarà altrettanto da lavorare». Secondo l’ex presidente del Consiglio dei lavori pubblici i lavori dunque finiranno nel 2011. Dovevano finire nel 2003.
Terzo valico. Il terzo valico dei Giovi è una parte della Milano-Genova (138 km) pari a 54 km di cui 46 in galleria a doppio foro. Secondo affermazioni mai smentite di Necci stesso (Sole 24 Ore 15.5.1991) la Mi-Ge, nonostante un iniziale progetto lacunoso e privo di attendibilità, è stata una carta di scambio per avere il via libera sulla Tav. Il progetto non ha copertura economica (servono 4.339.000.000 euro) ma intanto è già costato 415 miliardi di lire in progetti e fori pilota. Dopo la bocciatura dei primi tre progetti, nel settembre 2003 ha avuto il via libera del Cipe e dell’Ue, è rientrato nel Piano Generale dei Trasporti (marzo 2001) e nel Contratto di Programma di Rete Ferroviaria Italiana, ma i Comuni interessati non ne vogliono nemmeno sentir parlare e l’opera manca della Valutazione ambientale strategica obbligatoria per la normativa europea ed italiana. Nel 1998 i carabinieri su denuncia del Wwf hanno chiuso i cantieri e il terzo valico è finito in Procura a Milano. L’ipotesi di reato era truffa aggravata ai danni dello Stato per 100 miliardi di lire. Secondo l’accusa erano stati eseguiti dei falsi fori pilota in località Fraconalto e Voltaggio che in realtà erano gallerie di servizio, e il tutto senza alcun progetto. Inoltre i lavori eseguiti in base al finanziamento suppletivo di 100 miliardi di lire del 16 giugno del 1995 risulterebbero gonfiati del 100 per cento. I 100 miliardi erano stati stanziati dal governo Berlusconi I su pressione dell’allora sottosegretario Grillo che però nega l’addebito. Sono stati rinviati a giudizio il senatore di Forza Italia Luigi Grillo, presidente della Commissione lavori pubblici del Senato, Ettore Incalza (V.) e gli imprenditori Marcellino Gavio e Bruno Binasco. Il terzo valico lo dovrebbe costruire il Consorzio Co.civ il cui 94,5 per cento è della Impregilo di Pier Giorgio Romiti.
Tpl. Società di ingegneria da cui è iniziata la carriera di Necci. La Tpl secondo i giudici perugini era il crocevia dei traffici illeciti di denaro tra Necci e Pacini Battaglia. Secondo l’ex presidente Snam Raffaele Santoro, Necci la protesse e finanziò come fosse cosa sua. Nel 1991 la Tpl-Av stipulò un contratto che prevedeva le stesse prestazioni affidate a Italferr per la Tav: un incarico doppione del tutto inutile. Da Necci la Tpl-Av ha avuto un contratto da 60 miliardi per studi sull’Alta Velocità e solo per le attività di consulenza la Tpl-Av ricevette anticipazioni finanziarie ampiamente superiori al suo fatturato stesso: al 31.12.1996 erano ben sei miliardi di lire. Secondo i Ros, il manager Tpl Mario Delli Colli ha riciclato 3 miliardi di lire su ordine di Necci. Il suo presidente Mario Maddalonì, che ha patteggiato un anno e sei mesi per i fondi neri Eni, esercitò enormi pressioni per l’assunzione dell’ing. Savini Nicci, attuale amministratore delegato Tav.