Entrate - Se il Fisco tassa e il Welfare collassa...

Il ruolo del Fisco va preservato da strumentalizzazioni e riportato alla sua vera natura

Roma -

Quanto accaduto all’ufficio dell’Agenzia delle Entrate di Romano di Lombardia non è un caso isolato nel nostro Paese, la cui cronaca è costellata da fatti che ci parlano della materialità della crisi, del disagio, della disperazione che riguarda fasce sempre più ampie della popolazione. Fatti che, lo diciamo chiaramente, sono anche il frutto avvelenato di politiche che stanno seminando disgregazione sociale, miseria e disperazione.

Ci chiediamo adesso se i presunti tecnici e super tecnici che governano il nostro Paese sapranno cogliere e interpretare la drammaticità di questi fatti o se, come al solito, continueranno a occuparsi solo dello spread e del pareggio di bilancio continuando nell’obbedienza cieca e assoluta alla BCE e al FMI.

È un interrogativo retorico perché gli interessi che Monti & Co. rappresentano sono quelli del capitale finanziario che ha generato la crisi, e non certo quelli dei lavoratori e dei ceti meno abbienti.

La politica fiscale risponde esattamente a questo copione. Le scelte in materia fiscale non sono scelte tecniche o neutre: sono scelte profondamente politiche che connotano la natura e gli interessi che si vogliono tutelare. Noi USB siamo i primi a dire che le tasse vanno pagate da tutti. E certamente non ci uniamo al coro di quelle forze politiche che ieri e oggi cavalcano ambiguamente i temi della pressione fiscale (troppo alta) e della propensione all’evasione (troppo diffusa).

Noi crediamo che la materia sia troppo delicata e necessiti di una riflessione seria e profonda. Per parlare di equità fiscale si deve partire dalle differenze di reddito e dalla forbice sempre più ampia tra chi non arriva a fine mese e chi invece detiene ricchezze immobiliari e finanziarie. Insomma, partire da quel principio di progressività dell'imposta sancito dalla Costituzione e sistematicamente disatteso.

Troviamo profondamente ingiusto (altro che equità!) che questo governo nemmeno si ponga il problema di tassare con una vera patrimoniale le grosse rendite finanziarie ed immobiliari, o, per esempio, di ratificare con la Svizzera accordi per tassare i capitali esportati all’estero (come fanno Francia e Germania). Misure che garantirebbero grossi introiti e darebbero il segno di una politica fiscale più equa. E invece, si è preferito aumentare le addizionali locali, l’IVA, introdurre l’IMU (tranne per le fondazioni bancarie…): misure inique e regressive che, insieme all’aumento delle tariffe (luce, gas, acqua) gravano pesantemente sul bilancio di chi guadagna 1000 euro al mese e fanno il solletico a chi ne guadagna 20.000.

In questa maniera la pressione fiscale è ben lontana dall’essere “equamente” distribuita perché risulta decisamente pesante per i ceti sociali meno abbienti, ed assolutamente leggera per quel 10% della popolazione che detiene il 50% della ricchezza nazionale.

Alla luce di queste considerazioni la spettacolarizzazione dei controlli fiscali, così ben propagandati dai media, ci sono subito apparsi come una operazione di distrazione di massa per sviare l’attenzione dalla mannaia fiscale che in questi mesi si sta abbattendo sulla popolazione.

A ciò si aggiunga la confusione che si sta ingenerando intorno al ruolo del fisco: perché è chiaro a tutti che i proventi della lotta all’evasione non vengono utilizzati per garantire servizi e tutele sociali (che questo governo sta rapidamente e ferocemente smantellando) ma si perdono nel buco nero del debito contratto dalle banche, dalle assicurazioni e, più in generale della finanza speculativa.

Questo crea un gigantesco equivoco privando di senso e finalità sociale l’attività di contrasto dell’evasione che dovrebbe reperire quelle risorse necessarie per costruire scuole, ospedali, garantire reddito e, più in generale rilanciare lo Stato sociale.

È anche questo corto circuito contabile che impedisce al Fisco di essere socialmente credibile perché sottrae risorse attraverso la tassazione senza restituire nulla in termini di stato sociale.

In questo scenario di crisi, dunque, dobbiamo collocare l’episodio dell’ufficio di Romano di Lombardia. Noi vogliamo che questa vicenda costituisca l'occasione per ripensare un modello fiscale che non ceda alla tentazione di fare cassa subito (e sempre nei confronti dei soliti) perdendo di vista l'orizzonte strategico e i caratteri di progressività che la politica fiscale dovrebbe avere.

Ma crediamo anche che l'attività di contrasto dell'evasione meriterebbe maggiore “sobrietà” e meno spettacolarizzazione perché è cosa troppo seria e delicata per essere svolta sotto la luce dei riflettori. Sono queste le scelte politiche che andrebbero fatte per prevenire gesti disperati e recuperare quel senso di giustizia sociale al quale un sistema fiscale dovrebbe ispirarsi.