Agenzie Fiscali - Contro questa riforma, sciopera il 23 ottobre!

Roma -

Lo scorso 9 ottobre il Consiglio dei ministri ha approvato la legge delega di riforma della Pubblica Amministrazione. Lo ha fatto nel più totale silenzio del sindacalismo confederale che fin qui non ha speso una sola parola per difendere i lavoratori pubblici da una riforma che aggredisce i loro diritti fino ad annientarli come è nel caso del salario aziendale. L'idea veicolata da questa riforma è che i lavoratori  pubblici sono la causa unica del ritardo civile e sociale di cui l'Italia dicono sia ammalata cronica. La Pubblica Amministrazione, secondo l'ideologia imperante, è la centrale di tutti i mali e perfino la causa della crisi economica italiana. I lavoratori pubblici, con le loro ataviche miserie (fannullonismo, assenteismo, scarsa produttività, corruttibilità) sono la zavorra che costringe il Paese a non decollare mai. Queste le spiegazioni fornite in sede istituzionale dai soloni della politica, nell'imbarazzante silenzio della quasi totalità del sindacato!

 

Qualche indagine seria sui mali del Paese andrebbe pure fatta, e forse tra questi mali ci si troverebbe pure l'abbraccio mortale che dal 1993 ha segnato l'inizio della politica concertativa, che ha indebolito la forza contrattuale dei lavoratori e permesso alla controparte aziendale di attuare una politica del lavoro basata sui tagli ai salari e ai diritti. Una politica che alla lunga ha indebolito pure il sistema delle imprese, abituato a vincere facile su un terreno in cui non ha trovato opposizione, ma appunto solo concertazione. Entrambi i partner oggi hanno muscoli infiacchiti da anni di pacche sulle spalle e si sono addormentati sugli allori di una concertazione che è diventata la droga sociale del Paese.

 

Dall'abbraccio fra Governo, imprese e sindacati (confederal-unitari) sono nati molti mostri: la politica dei redditi; lo stop alla crescita delle retribuzioni (3% in 15 anni, dice Bankitalia!); l'indebolimento del contratto collettivo; lo spostamento di fondi sulla retribuzione aziendale, legata alla produttività; il conseguente taglio dei fondi aziendali; e infine il taglio della platea dei lavoratori che potranno accedere al salario accessorio. Tutti questi e altri veleni come la precarizzazione del rapporto di lavoro pubblico sono stati inoculati con  accortezza, badando a evitare il rigetto. Basterebbe guardare indietro agli ultimi dieci anni per renderci conto del costante peggioramento delle condizioni lavorative e sociali. I lavoratori potevano essere il nuovo ceto medio e invece nel migliore dei casi sono il vecchio ceto che tira la cinghia, appena sopra la linea di galleggiamento.

 

Anche la riforma brunettiana è figlia di quell'abbraccio. Il parere di Confindustria sulla riforma è indistinguibile da quello della "triplice". Eppure c'è tanto da dire: esclusione annuale del 25% dei lavoratori dal salario di produttività (anche se produttivi); blocco delle carriere; divieto di progressioni tra le aree se non per concorso pubblico; potere discrezionale dei dirigenti sulla mobilità professionale e territoriale dei lavoratori; licenziabilità del lavoratore se permane per un biennio nella fascia dei meno meritevoli.

 

Una riforma punitiva che qualcuno spaccerà come risposta al bisogno di modernizzazione del Paese e che invece è la solita vecchia storia che si ripete: caricare sui lavoratori pubblici il peso di ben altre inefficienze e incapacità. Anche per dire il tuo NO a questa riforma, abbiamo indetto lo sciopero del prossimo 23 ottobre. Il sindacato ha il dovere di dare ai lavoratori tutti gli strumenti di conflitto. Al lavoratore la scelta se usare questi strumenti, o se accontentarsi del poco che si ha, aspettando di avere ancor meno domani.